Semplificazioni di menti semplici
In quella remota epoca ante-Shazam capitava di ascoltare canzoni senza saperne né il titolo né l’autore. Fu così per una canzone che accompagnava uno di quei filmati prodotti per riempire gli intervalli tra un programma e l’altro e che era una miscellanea di azioni di grandi cestisti della NBA e immagini di vita quotidiana dell’America dei grattacieli e quella rurale delle piccole cittadine lungo le grandi highways.
Impiegai anni per scoprire che la canzone, scelta senza minimamente curarsi del testo, che niente c’entrava né col basket né con l’America più o meno urbanizzata, era Mandela Day, un brano che gli scozzesi Simple Minds avevano dedicato nel 1989 al leader anti-apartheid sudafricano.
Oramai già in territori molto pop, il gruppo di Glasgow aveva abbandonato le spigolosità post-punk degli esordi, verso una new wave sempre più edulcorata. E fu un vero peccato.
Effetto Kirlian
Seymon Davidevic Kirlian era un semplice elettricista autodidatta di Krasnodar, in Unione Sovietica. Per imperizia, mentre riparava un generatore, fu colpito da una scossa elettrica. Avendo visto sprigionarsi dalla sua mano un arco elettrico colorato decise di ripetere l’esperienza e di immortalarla su una lastra fotografica. Scoprì che le parti del corpo umano fotografate emanavano un’aura che assumeva, a seconda della pellicola utilizzata, colori diversi. Di quello che è noto oggi come effetto Kirlian se ne appropriarono i pranoterapeuti per propagandare le loro teorie sui flussi di energia.
Kirlian photograph è anche il pezzo che apre Mix-up il primo disco dei Cabaret Voltaire, gruppo di Sheffield, alfieri, come i concittadini Clock DVA, di un post-punk dai connotati elettronici e industriali.
Anche in Italia c’è chi si è ispirato allo strano effetto, come i Kirlian Camera, attivi con il loro synth-pop dagli anni ’80 e che sono stati la prima band italiana arruolata dalla Virgin e, in tempi recenti, il poco noto trio dei Kirlian. Originari di Treviso hanno pubblicato l’interessante album strumentale A.U.R.A.L. nel 2015.
Questione di punteggiatura
Tanto tempo fa (ma proprio tanto tanto tempo fa) ascoltai gli Ultravox: non solleticarono il mio orecchio e finirono nel dimenticatoio. Solo molto tempo dopo scoprii che avevo sentito il gruppo sbagliato: prima del noioso synth-pop degli Ultravox di Midge Ure c’erano stati gli strepitosi Ultravox!, con quel punto esclamativo che non è il commento dell’ampolloso scrivente ma parte integrante della denominazione sociale del gruppo allora capitanato da John Foxx e che omaggiava gli imprescindibili tedeschi Neu! di Michael Rother e Klaus Dinger.
Gli Ultravox! durarono lo spazio di due ottimi dischi prima di perdere insieme al punto esclamativo anche John Foxx e l’aura magica degli esordi. Il primo album, omonimo, prodotto da Brian Eno un attimo prima di fare armi e bagagli in direzione di Berlino in compagnia di Robert Fripp e David Bowie e il secondo, Ha! Ha! Ha!, prodotto da Steve Lillywhite già coéquipier di Eno nella produzione del primo LP, sono un riuscitissimo impasto di glam-rock, punk ed elettronica.