La lava e l’elefante

C’è stato un tempo felice in cui MTV Italia non esisteva. C’era invece una più ruspante Videomusic che rimpiango. Non solo per il concerto acustico dei CSI, ma perché in generale riusciva a far passare anche – e scrivo anche perché d’altronde non siamo nel migliore dei mondi possibili – musica decente. Addirittura in un programma come il Roxy Bar di Red Ronnie si riusciva a trovare qualcosa da salvare.
Ricordo che c’erano questi due videoclip simili nella musica e nella regia: uno era Bull in the heather dei Sonic Youth, l’altro era di un gruppo chiamato Uzeda.
Ci volle del tempo per scoprire che questi ultimi erano catanesi, avevano partecipato alle John Peel sessions della BBC (che è ben altro dal Roxy Bar di Red Ronnie), erano riusciti a farsi registrare il disco da Steve Albini e poi a pubblicare con la Touch and Go, una delle più importanti etichette indie degli States. Ma nonostante tutto questo e un tour, quello del 2018, celebrativo del trentennale della band, rimangono dei quasi carneadi .

Cinque dischi in vent’anni, tanta rabbia e una voce, quella di Giovanna Cacciola, che pare sempre sull’orlo del baratro, pronta a cadere in quel cratere che non smette mai di dispensare lava. L’urlo di una terra, quella etnea, continuamente stuprata.

 

Due terzi rumore, un terzo pop

Sono passati trent’anni dall’esordio sulla lunga distanza dei Pixies. Prodotto da Steve Albini per l’etichetta 4AD l’album Surfer Rosa è una girandola di ritornelli pop sfregiati dalle trovate sonore del quartetto formato dal cantante Black Francis, dal chitarrista portoricano Joey Santiago, dalla bassista Kim Deal e dal batterista David Lovering. Un disco che negli anni novanta farà scuola a Nirvana e a tanta altra compagnia cantante. Imprescindibile come il resto della stringata discografia dei nostri completata dagli album Doolittle, Bossanova e Trompe Le Monde.

La lucertola di nome Gesù

Il losco figuro che me li fece conoscere mezza vita fa era esaltato dal loro nome: “Gesù lucertola” cianciava. Ma si trattava semplicemente del basilisco, capace di camminare sull’acqua. E forse di sguazzare nel sangue della vasca da bagno di Mary, primo atto di un repertorio seriale di nefandazze ora narrate ora sputacchiate da David Yow.

Yow dopo l’esperienza dei seminali Scratch Acid richiama il bassista Dave Sims,  nel frattempo reduce dai Rapeman di Steve Albini con il batterista, sempre ex Scratch Acid, Ray Wisham e insieme arruolano il chitarrista Duane Denison e registrano l’EP Pure. Seguiranno altri sette dischi in dieci anni, tutti con un titolo di quattro lettere e tutti senza indietreggiare di un millimetro  dal loro post-hardcore al fulmicotone. Signore e signori: The Jesus Lizard.

Atti osceni

Nel 1988 Steve Albini, messa da parte l’esperienza dei Big Black arruola la sezione ritmica dei seminali Scratch Acid,  il batterista Rey Washam e il bassista David Sims e dà vita ai Rapeman: un EP intitolato Budd e un LP, Two Nuns and a Pack Mule, entrambi licenziati dalla Touch & Go, poi lo sciogliete le righe prima di varare gli altrettanto formidabili Shellac.

Spietato negli effetti chitarristici, osceno nei testi, esemplare l’attacco ai Sonic Youth, colpevoli agli occhi del nostro di essersi venduti alla major discografiche con Kim Gordon’s painties, Albini ridisegna i confini del noise e dell’hardcore. C’è già tutto: i Nirvana (che vedranno proprio Albini al mixer per l’album In Utero), i Jesus Lizard, gli Slint verranno solo in seguito.