L’ultima canoa

Nonostante la presenza di Johnny Depp Dead Man è stato un grande flop commerciale, costato nove milioni di dollari per un incasso al botteghino  di poco superiore a uno. Ma la pellicola di  Jim Jarmusch è uno splendido western trasfigurato. Il personaggio principale, il timido William Blake, è coinvolto in una sparatoria nella inquietante città di Machine. Sospeso tra la vita e la morte, William viene curato dall’indiano Nessuno, che vede in lui  l’incarnazione dell’omonimo poeta inglese. La colonna sonora del film, girato in bianco e nero, è una lunga improvvisazione di Neil Young a base di feedback e riverberi tanto cari al musicista canadese, basti ricordare i trentacinque minuti di rumori assortiti di Arc, la traccia ottenuta facendo un collage dei concerti del tour di Weld.

Chi osa pensa rosa

Il batterista inglese John Charles Edward Alder meglio noto con lo pseudonimo di Twink ha 26 anni e alle spalle l’esperienza con i fantastici Tomorrow e i Pretty Things del fondamentale album S.F. Sorrow, quando nel 1970 esordisce come solista con l’ultrapsichedelico Think Pink. Alle registrazioni dell’album partecipano membri dei Deviants di Mick Farren, dei T.Rex, dei Pretty Things. Il disco, inutile dirlo, rimane uno dei grandi capolavori del rock britannico.

Ascolta gli alberi

I Trees sono stati una band inglese di folk-rock attivi tra il 1969 e il 1972 caratterizzata dalla limpida voce di Celia Humphris. Due album all’attivo, The Garden of Jane Delawney e On the Shore, entrambi pubblicati dalla CBS nel 1970. Nel secondo LP compare una bella versione della classica Geordie, già portata al successo da Joan Baez e, in Italia, da Fabrizio De André.

 

Il blu, l’oro e il magico giallo

Furono disseppelliti dal dimenticatoio, prima di tornarcene repentinamente, dalla Spittle Records, i nostrani Leanan Sidhe.  Nel sottobosco fecondissimo della Firenze degli anni ottanta, dove i più affermati Litfiba e Diaframma ripetevano più o meno scolasticamente la lezione del post-punk d’oltremanica, i Leanan Sidhe seppero affondare le mani nelle acque pù profonde della psichedelia come testimoniato dai due ottimi miniLP del biennio 86-87 Ash Grove Primroses e Our Early Childhood Skyes raccolti vent’anni dopo con un paio di inediti su CD col titolo di Blue and Gold (and Magic Yellow). A queste due prime prove seguì un’esistenza nascosta che portò alla realizzazione di  due lavori estremamente sperimentali come Plansequence del ’94 e di Calendario Arboreo Perpetuo del 2000 .

Cartoline dal vecchio West

I Quicksilver Messenger Service di John Cipollina vengono sempre annoverati come terzo gruppo della scena acid-rock di San Francisco. Certo a ragione: non possedevano la sensualità di una Grace Slick e la capacità di sfornare grandi canzoni dei Jefferson Airplane né tanto meno musicisti della caratura dei Grateful Dead (capaci di passare dalla più lisergica psichedelia all’avanguardia della musica concreta). Più fisici nelle loro jam infuocate i Quicksilver Messenger Service non sono stati capaci di grandi prove in studio ma hanno lasciato un meraviglioso live, Happy Trails uscito nel 1969, tratto da due serate ai mitici Fillmore e sublimato nella lunga cavalcata di Calvary.

Depressione? (Mamma li turchi #3)

I Bunalim furono autori di una manciata di singoli ad inizio anni settanta sospesi tra tradizione turca, psichedelia e hard-rock. Il loro nome, traducibile letteralmente con depressione, risulta fuorviante rispetto a una musica energica e trascinante. Nel ’74 si unirono al chitarrista Erkin Koray e col nome di Grup Ter realizzarono una cover del classico turco Hor Görme Garibi che gli aprì in patria le porte del successo. Bisognerà aspettare gli anni zero per vedere i pezzi dei Bunalim assemblati in una antologia.

La farfalla del giardino dell’Eden

Gli Iron Butterfly dell’organista e cantante Doug Ingle saranno ricordati quasi esclusivamente per quell’incredibile lato B del loro secondo LP pubblicato nel 1968 per la ATCO Records. La facciata del vinile era occupata interamente dal  lunghissimo brano che dava il titolo all’album. In-A-Gadda-Da-Vida coi suoi diciassette minuti in cui si rilegge l’acid-rock californiano e si dettano le future coordinate dell’hard-rock e dell’heavy-metal tra febbrili note d’organo ed epidermici riff di chitarra dell’allora diciottenne chitarrista Erik Brann.

Lo scioccante blu

Gli olandesi Shoking Blue si formarono nel 1967 ma giunsero al successo solo dopo l’ingresso in formazione della cantante Mariska Veres. Il singolo Venus nel 1969 conquistò le classifiche europee prima e americane (e le riconquistò negli anni ottanta con la versione dance delle Bananarama). Venus fu inserita anche nell’album At Home che conteneva anche un altro brano Love Buzz che sarà riproposto ottimamente nel 1989 dai Nirvana nell’album d’esordio Bleach.

Senza radici

“Palestine’s a country / Or at least / Used to be. / Felahin, refugee / (Kurdistan similarly) / Need something to / Build on / Rather like / The rest of us.” 

Quando si è a corto di soldi ci si arrangia come si può. E peccato se il lavoro sarebbe potuto uscire meglio. Così Dondestan, il gran ritorno di Robert Wyatt dopo anni di silenzio fu dato alle stampe nel 1991 con un missaggio frettoloso e approssimativo (così riteneva lui, perché era già un gran bel disco). Ma evidentemente a Robert il cruccio era rimasto così nel 1998 riesce a riportarlo in studio di registrazione e a rimettere mano ai nastri originali: il risultato è Dondestan (revisited). Disco, a un orecchio attento, dal suono un po’ più cupo e compatto. Per il resto se si eccettua la diversa scaletta dei brani difficile riconoscere l’uno e l’altro e ancor più decidere quale delle due versioni preferire. Insomma l’unica strada percorribile è godersi due volte questo album doppio che vale molto di più di tanti doppi album. Triste notare come il brano che dà il titolo all’album e che trattava dell’impossibilità di avere una patria per curdi e palestinesi sia ancora tristemente attuale.

“Il lato nuovo di questo lavoro é che i testi delle canzoni erano delle poesie di Alfie; mi piacciono molto le sue poesie perché c’é molto di non detto. Chiamai il disco Dondestan perché aveva un doppio significato: in spagnolo significa “dove stai” e, sempre in spagnolo, ricorda qualcosa della repubblica euroasiatica. Qualcosa come dichiarare se stessi indipendenti da qualcuno o qualcosa. Io spesso mi sento in esilio da non so quale paese e anche tante persone che conosco sembrano essere degli esiliati. E’ un disco sulla mancanza di radici, questo lo si sente sia nelle canzoni che nei testi di mia moglie”.

 

Il terzo orecchio

La Third Ear Band nasce in quel ricettacolo di meraviglie che fu l’UFO Club di Londra, un locale durato poco meno di un anno ma sul cui palco si alternarono  più volte Pink Floyd, Soft Machine, Tomorrow, Arthur Brown e compagnia cantante. Ciò che distingueva la Third Ear Band era l’inconsueta strumentazione più idonea a un ensemble da camera che a un gruppo rock:  oboe, viola, violoncello.

Due anni dopo la chiusura dell’UFO, siamo nel 1969,  arriva il disco d’esordio, Alchemy, cui seguirà l’anno dopo il secondo, omonimo album, che rimarrà come uno dei frutti più maturi e succosi della psichedelia britannica. L’album è composto da quattro lunghe tracce dedicate ai quattro elementi della tradizione  aristotelica in cui si incontrano, dando vita a un’ottima miscela, suoni orientali ed occidentali.