Il calderone psichedelico

Cauldron dei Fifty Foot Hose è, come promette il titolo del disco, un calderone in cui la psichedelia di San Francisco è annegata in un brodo di effetti elettronici ricavati dagli strumenti fatti in casa da Louis Cork Marcheschi che aveva già esordito nel 1966 in solitaria sulla brevissima distanza con il singolo, anche questo dal titolo programmatico, Bad Trip. Con lui, due anni dopo a realizzare Cauldron, ci sono i coniugi Nancy e David Blossom, Kim Kimsey e Larry Evans. Un disco che suona ancora oggi coraggioso nell’imboccare strade altre dagli stilemi abusati di tanti gruppi usciti dalla Bay Area.

Colori meno noti (Caleidoscopi #3)

Un gran bel disco dai suoni garage e psichedelici per il terzo, e infinitamente meno noto, caleidoscopio, dopo quelli americani e inglesi. I Kaleidoscope di Colours provenivano dalla Repubblica Dominicana e comprendevano elementi da Porto Rico e Spagna.  Furono lanciati sul mercato messicano e quindi ci si riferisce a loro come Kaleidoscope (Mex).

 

Boltzmann e la psichedelia (Caleidoscopi #2)

A Berkeley c’è  la sede della University of California, e lì  nel ribollire degli anni sessanta si formarono i Kaleidoscope di David Lindley, Fenrus “Maxwell Buda” Epp, Chris Darrow, Solomon Feldthouse e  John Vidican.

Il loro folk psichedelico attinge a piene mani dalla tradizione mediorientale grazie anche all’uso di strumenti tipici in cui eccelle il buon Lindley. Scherzi delle omonimie a Berkeley ha lavorato anche il fisico e scrittore David Lindley, autore in particolare delle biografie di Lord Kelvin e di Ludwig Boltzmann. E chissà  cosa penserebbe dal punto di vista antropico della musica dei Kaleidoscope il Boltzmann, che in California ci arrivò nel 1899 e di quella visita ha lasciato un breve e interessantissimo diario, pubblicato come Viaggio di un professore tedesco all’Eldorado: aumenta il disordine oppure no?.

Un tuffo a ieri (Caleidoscopi #1)

La tenue Let the world wash in degli I Luv Wight è,  o meglio doveva essere, l’inno del festival di Wight del 1970. Nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe inframmezzato le esibizioni dei vari gruppi nei cinque giorni della manifestazione fino al disvelamento finale dell’identità dei fantomatici autori: i Fairfield Parlour di Peter Daltrey ed Eddie Pumer. Potenzialmente una bella mossa per risollevare le sorti di un gruppo perseguitato da una sfortuna sfacciata. Ma neppure quella volta le cose non girarono per il verso giusto e il singolo rimase in un cassetto.

Da quel punto in poi anche la storia dei Fairfield Parlour fu destinata a chiudersi: con un album doppio pronto e nessuna casa discografica disposto a pubblicarlo, nel 1972, i nostri dichiararono la resa.
Una resa arrivata per frustrazione dopo che già in precedenza, quando si chiamavano Kaleidoscope, erano stati costretti a lasciare l’etichetta Fontana non capace di promuoverli come avrebbero meritato: i loro due unici LP, Tangerine Dream e Faintly Blowing sono, come da inflazionata ragione sociale del gruppo, due splendidi esempi di luccicante psichedelia british.

Nel solco ancora scorrerà sete che divora i sorsi

In attesa di  ascoltare l’ultima fatica IRA, che doveva essere presentata dal vivo nelle prossime settimane, vado a riascoltarmi il precedente DIE, anno 2015 di Jacopo Incani alias IOSONOUNCANE. Parsimonioso nelle sue uscite discografiche,  il primo lavoro, La macarena su Roma, è  datato 2010, DIE è  un concept sul dialogo a distanza di un uomo e una donna, lui in mare, lei in attesa a riva e la paura della morte. Un disco più  suonato e più  universale rispetto ai comizi, peraltro eccellenti, del disco di esordio.


 

Triscaidecafobia

In genere gli ascensori non fermano al tredicesimo piano semplicemente perché non c’è un tredicesimo piano non c’è. Non porta bene il numero 13 così la numerazione passa direttamente dal dodicesimo al quattordicesimo.

Sta lì in mezzo, dove non si vuol mettere il naso la musica dei texani The 13th Floor Elevators, tra i primi alfieri della psichedelia, con il loro garage rock allucinato caratterizzato dal jug elettrificato di Tommy Hall, in pratica un bottiglione suonato a suon di pernacchie che marchierà a fuoco You’re Gonna Miss Me, primo grande successo della band, e dalla voce del  leggendario Roky Erickson, tra le prime vittime del LSD e il cui arresto e conseguente ricovero in  ospedale psichiatrico sancirà di fatto la fine del gruppo. 

Il soldato col pennarello rosso

Mayo Thompson ha vissuto due vite musicali: la prima negli anni sessanta, alla guida dei Red Crayola (poi Red Krayola a causa della denuncia della nota azienda produttrice dei famosi pennarelli). Gruppo leggendario che con le estreme free-form freakout del disco d’esordio The parable of arable land in cui suonavano un centinaio di amici del gruppo tra cui Roky Erickson dei 13th Floor Elevators, portarono alla ribalta la folle scena psichedelica texana.
La seconda sul finire degli anni settanta, quando Mayo, nel frattempo al lavoro come produttore per l’etichetta londinese Rough Trade, diventa chitarrista dei Pere Ubu cui,  se mai gliene fosse mancata a David Thomas e soci, dà un grande impulso creativo e rispolvera la storica sigla Red Crayola per l’ottimo Soldier Talk un disco dalle sonorità prettamente new wave dove sono proprio gli Ubu al completo a fargli da backing-band.

La carovana dell’anima (Ohr Records #7)

I Soul Caravan nacquero a Wiesbaden nel 1967 come sestetto equamente diviso in tedeschi e americani. Le iniziali inclinazioni soul del primo LP Get in High si persero a favore di influenze prima jazz e poi cosmiche. Dopo aver inciso l’album Electrip come Xhol Caravan approdarono all’etichetta Ohr. Ribattezzatosi Xhol registrarono nel 1970 un primo disco, Motherfuckers GMBH & Co. KG, rispedito al mittente dalla casa discografica e pubblicato solo due anni dopo con il gruppo oramai sciolto. Meglio andò con Hau-RUK, pubblicato nel 1971 e contenente due lunghe tracce registrate dal vivo l’anno prima a Gottinga con una formazione a quattro elementi senza la presenza di  chitarre.

Oltre il basso, l’altrove

Ho atteso con impazienza di mettere sul piatto del giradischi Alone, il nuovo lavoro di Gianni Maroccolo, storico bassista dei Litfiba e da appassionato di acronimi, di CCCP, C.S.I., P.G.R.. Tralascio il curriculum lunghissimo di musicista e produttore del Marok che, mandato in pensione lo storico basso Attilio, ha ripreso a  percorrere sentieri più elettronici e sperimentali. Alone è il primo episodio di quello che sarà il suo disco perpetuo che uscirà a cadenza semestrale per sempre. Questo primo disco, curatissimo nell’artwork, vede la presenza di una vecchia conoscenza del rock nostrano come Edda Rampoldi, voce dei Ritmo Tribale e Iosonouncane.

Il lungo flusso sonoro del disco, scherzosamente etichettato come krautmarok, omaggia tanto la  musica cosmica tedesca quanto il post-punk degli esordi di Gianni fino alle suggestioni etniche e world, ben esemplate dalle nenie indiane di Edda e che rimandano all’importante collaborazione di Marok con il compianto Claudio Rocchi.

La costola e la comune (Ohr Records #6)

Gli Amon Düül II nacquero da una divisione interna degli  Amon Düül , collettivo musicale nato in Baviera all’interno di una variopinta comune di artisti, hippies e sbandati. Nel 1970 la Ohr riuscì a metterli in uno studio di registrazione che frutteranno un LP Paradieswärts Düül e un singolo, Eternal Flow / Mechanical World. Il disco è composto di lunghe e allucinate jam psichedeliche prive di quella componente gotica marchio di fabbrica della più celebre costola degli Amon Düül II. Unico documento in studio della band che vanta altri quattro album frutto di registrazioni live precedenti all’approdo alla Ohr.