Contro il grande freddo

E’ notte e tu dormi / e io ti guardo dormire / il mio risveglio è così improvviso / nulla si muove / qui niente sembra cambiato / eppure tutto è fuori posto / solo il silenzio / tu dormi / e nel sonno sorridi / ti muovi nel buio a cercare / non sento nulla / tutto è così lontano

Ho scoperto di recente che uno dei membri storici dei torinesi Gatto Ciliegia Contro Il Grande Freddo per mantenersi, bella la vita dei rockers ma dura quella dei post-rockers,  va in giro con un furgone a distribuire prodotti surgelati. Partiti dal post-rock con un paio di ottimi album alla fine dello scorso il millennio Gatto Ciliegia ha allargato i propri orizzonti lambendo territori più pop, vedi le rivisitazioni di canzoni degli anni ’60 con la voce di Robertina e la partecipazioni a molte colonne sonore, buon’ultima quella di Nico, 1988, il lungometraggio della regista Susanna Nicchiarelli che ripercorre l’ultimo anno di vita della grande cantante tedesca.

Il canto della sirena

Inseriti a torto nel calderone post-rock, gli australiani Dirty Three del violinista Warren Ellis, in seguito sodale di Nick Cave, hanno portato in musica i loro paesaggi sonori dagli scenari assolati e desertici dell’album d’esordio, Sad and dangerous, fino al capolavoro marinaresco Ocean songs, un concept dedicato al mare. Un’esplorazione sonora che vive nella continua tensione tra misticismo e depravazione.

Il ritmo lento della tartaruga

L’esordio dei chicagoani Tortoise è già lontano un quarto di secolo, il singolo d’esordio, Mosquito, è infatti datato 1993.  Risale all’anno seguente invece l’esordio sulla lunga distanza con l’eponimo Tortoise, pubblicato dalla Thrill Jockey. Doug McCombs, John Herndon, John McEntire, Bundy Brown (questi ultimi due reduci dall’esperienza dei Bastro) e Dan Bitney cominciano a confezionare la preziosa miscela di jazz, elettronica, dub che farà scuola e che dal ventoso Illinois si diffonderà per tutto il globo con l’etichetta stretta di post-rock.

Quattro grandi punti (esclamativi)

“Our airplane, flies high, and higher / Our airspace, looks right, it’s perfect, from up here / We touch down, we come down, completely, full of fear / They meet us, good people, they’re right here / Their island, their palace, makes us high, and higher / Catania, so full, soulful, gigantic”

Quattro album e due EP condensano la carriera dei June of ’44 da Louisville, Kentucky. Jeff Mueller proveniva dai Rodan, Doug Scharin dai Codeine e già questo basterebbe come (ottima) referenza. Il resto della band era formata da Sean Meadows e Fred Erskine. Alla matrice math-rock degli Slint aggiunsero maggior cromatismo sonoro e gusto per la melodia. Four great points uscito nel 1998 per la Quarterstick resta probabilmente la loro prova migliore ma ci sarebbe veramente l’imbarazzo della scelta.  Dopo un silenzio ultradecennale saranno tra pochi giorni in Italia, paese da loro amato (come testimoniato dalla loro Southeast of Boston su Anahata).

Quelli che ritornano

Avevo perso di vista per un po’ di tempo i Mogwai dopo l’abbuffata di post-rock di fine anni novanta. Poi è arrivata la serie televisiva francese ‘Les Revenants’ e, con questa, la colonna sonora della band scozzese. La musica, composta per l’occasione e con un piccolo tributo ai Portishead, accompagna magistralmente le scene della serie girata in Alta Savoia. Sotto cieli perennementi plumbei si intrecciano i destini irrisolti di ‘quelli che ritornano’ e di quelli che sono rimasti.

Il rumore del fiore di carta

Per un periodo giravano spesso in rete vignette spassose che ironizzavano sull’esistenza o meno del Molise. E se in tanti non sanno davvero dove si trovi il Molise, figuriamoci come deve essere suonare post-rock in quel di Campobasso, patria de Il Rumore Del Fiore Di Carta, band dal nome bellissimo che ha all’attivo tre album autoprodotti tra il 2004 e il 2011 che vale la pena riscoprire.

Chiedi alla ruggine

I Rodan ressero un solo album prima di disintegrarsi. Ma come in certe reazioni nucleari incontrollate l’energia liberata fu di portata terrificante: dai resti dei Rodan sono partite le avventure sonore di June of ’44, Shipping News, Rachel’s, Sonora Pine. Un math-rock, quello del quartetto di Louisville, Kentucky, nel solco degli Slint ma con tanta rabbia in corpo in più.

 

La teoria del frigo vuoto

Il titolo bizzarro, La teoria del frigo vuoto, celiava sulla classica scusa di chi non vuole invitarti a cena. Autoprodotto nel 1998 dai Brutopop, quartetto romano che si era fatto le ossa di fianco ai mitici Fugazi e aveva realizzato le trame musicali degli Assalti Frontali per il disco Conflitto – per chi scrive uno dei lavori imprescindibili degli anni novanta – ebbe ottime recensioni e scarsissimo riscontro commerciale (anni fa ne acquistai cinque copie in vinile a un euro cadauno). Un vero peccato perché sono quaranta minuti di ottima musica strumentale tra post-rock, lounge ed echi morriconiani.

 

Ben oliati gli ingranaggi

L’estemporaneo nome Hash Jar Tempo, una storpiatura dei krauti Ash Ra  Tempel, vide il neozelandese Roy Montgomery (già Dadamah) far comunella con gli americani Bardo Pond. La combriccola tirò fuori due monumentali dischi di chitarre: Well Oiled (1997) e Under glass (1999). Due veri e propri muri del suono destinati a chi, dal fondo di un pozzo, ha il coraggio di arrampicarsi e arrivare fin lassù  dove la luce annulla i colori come nella copertina del primo fragorosissimo LP.

A new start (for swinging shoes?)

L’Ostile Libero cambia casa. Intanto continuate a visitarlo nella vecchia: http://esercitodisanti.blogspot.it/

Non prima però di esservi ascoltati questi Giardini di Mirò d’annata (da ‘Rise and fall of academic drifting’ licenziato dalla Homesleep nel 2001, bel video di Marco Porsia che l’onnisciente discogs segnala come film editor dei DVD che accompagnano gli ultimi mastodontici lavori targati Swans ‘The Seer’ e ‘The Glowing Man’).