Difficile emergere artisticamente a Tel Aviv. Così tre ragazzi israeliani muovono verso Amsterdam e riescono a trovare asilo presso l’etichetta belga Crammed che produce, è il 1981, il loro omonimo esordio. Il gruppo, composto dalla bassista Malka Spigel, il cantante Samy Birnbach e il chitarrista e tastierista Berry Sakharof si distingue nel calderone new wave / post-punk per il sapore mediorientale dei suoni. Ballate da fermi con i Minimal Compact.
In quella remota epoca ante-Shazam capitava di ascoltare canzoni senza saperne né il titolo né l’autore. Fu così per una canzone che accompagnava uno di quei filmati prodotti per riempire gli intervalli tra un programma e l’altro e che era una miscellanea di azioni di grandi cestisti della NBA e immagini di vita quotidiana dell’America dei grattacieli e quella rurale delle piccole cittadine lungo le grandi highways.
Impiegai anni per scoprire che la canzone, scelta senza minimamente curarsi del testo, che niente c’entrava né col basket né con l’America più o meno urbanizzata, era Mandela Day, un brano che gli scozzesiSimple Minds avevano dedicato nel 1989 al leader anti-apartheid sudafricano.
Oramai già in territori molto pop, il gruppo di Glasgow aveva abbandonato le spigolosità post-punk degli esordi, verso una new wave sempre più edulcorata. E fu un vero peccato.
I semi cattivi di Nick Cave cominciano a germogliare nel 1979 nella lontana Melbourne. Nomi rassicuranti come The Boys Next Door e The Birthday Party fanno da copertura a un post-punk degradato che affiora da melme blues. Partono da qui Nick Cave e il fido Mick Harvey, insieme a Rowland Howard, Tracy Pew e Phil Calvert per dare l’assalto alla vecchia Europa prima di disintegrarsi all’ombra del muro di Berlino.
Gruppo seminale della scena nostrana che vale la pena riscoprire, i milanesi Carnival of fools di Mauro Ermanno Giovanardi, affondavano le radici nel terreno di quel blues malato di chiara derivazione caveana. Dall’albero dei Carnival of fools dirameranno i più fortunati La Crus e i meno fortunati Santa Sangre (oltre a fornire elementi a Massimo Volume e Afterhours).
La band si sciolse nel 1993, all’indomani del loro ultimo LP Towards the lighted town. La loro storia era cominciata nel 1988 e la loro discografia comprende un EP, Blues off get my shoulders (1989) e un altro album Religious folk (1992). Nel mezzo una strepitosa rilettura di Love will tear us apart dei Joy Division apparsa su una compilation di tributo edita dalla etichetta milanese Vox Pop.
La sfortuna dei Chameleons è stata quella di essere arrivati un attimo dopo i più illustri Joy Division, The Cure, Echo & The Bunnymen. Il loro primo disco Script of the bridge esce solo nel 1983 quando la festa del post-punk è ormai agli ultimi giri di danza.
Ed è un imperdonabile peccato che il disco passi sotto traccia: già la copertina del disco, opera del chitarrista Reg Smithies, mette in evidenza la componente onirica e romantica della loro musica e dei testi del cantante Mark Burgess.
“In his autumn before the winter comes man’s last mad surge of youth.” “What on earth are you talking about?” Queste le due frasi, rapite da un film sconosciuto, introducono l’iniziale Don’t fall, seguita da brani come Monkeyland, Second skin – che pare alludere a un’esperienza post-mortem, – A person isn’t safe anywhere these days, la preferita di Burgess con cui il gruppo aprirà generalmente i concerti, fino al verso finale “You wait until your time comes round again” che chiude View from a hill e di fatto il disco.
Il secondo album What does anything mean basically? verrà pubblicato nel 1985 e comprenderà altre ottime canzoni così come l’anno successivo Strange times, con una delle mie copertine preferite in assoluto. Ma le vendite scarse porteranno nel 1987 il gruppo a sciogliersi.
Uno dei brani chiavi del Pop Group è Thief of Fire: comenovello Prometeo, la band di Bristol ruba il fuoco della musica da ballo, del funk e del dub e la dona all’umanità più oppressa di cui il cantante Mark Stewart se ne fa portavoce con testi feroci e paranoici. Due album fondamentali, Y e For How Much Longer Do We Tolerate Mass Murder prima di disgregarsi in una pletora di gruppi ed esperienze musicali ancora degnissime di nota e sempre caratterizzate dalla grande libertà musicale e da un meticciato di generi, dai Rip Rig + Panic ai Pigbag, dai Glaxo Babies ai Maximum Joy fino ai Maffia del leader Mark Stewart.
Furono disseppelliti dal dimenticatoio, prima di tornarcene repentinamente, dalla Spittle Records, i nostrani Leanan Sidhe. Nel sottobosco fecondissimo della Firenze degli anni ottanta, dove i più affermati Litfiba e Diaframma ripetevano più o meno scolasticamente la lezione del post-punk d’oltremanica, i Leanan Sidhe seppero affondare le mani nelle acque pù profonde della psichedelia come testimoniato dai due ottimi miniLP del biennio 86-87 Ash Grove Primroses e Our Early Childhood Skyes raccolti vent’anni dopo con un paio di inediti su CD col titolo di Blue and Gold (and Magic Yellow). A queste due prime prove seguì un’esistenza nascosta che portò alla realizzazione di due lavori estremamente sperimentali come Plansequence del ’94 e di Calendario Arboreo Perpetuo del 2000 .
Le sonorità gothic trovarono in Italia, e in particolare a Firenze, terreno fertilissimo con la neonata I.R.A. Records che produsse i primi dischi di Litfiba, i Moda di Andrea Chimenti, gli Underground Life di Giancarlo Onorato e i Diaframma di Federico Fiumani che con l’arrivo del cantante Miro Sassolini realizzarono l’ellepì Siberia, uno dei migliori album della dark wave di casa nostra.
The atmosphere’s strange / Out on the town / Music for pleasure? / It’s not music no more / Music to dance to… / Music to move? / This is music to march to! / Do a wardance”
Non c’era molto di cui compiacersi nella turbolenta Inghilterra del post-punk. E i Killing Joke arrivarono a gettare ulteriore benzina sul fuoco. Nacquero dall’incontro, leggenda vuole in un ufficio di collocamento londinese, tra giovanni disoccupati e arrabbiati. Nel marzo del 1980 uscì il singolo Wardance, in copertina Fred Astaire che balla su cumuli di macerie. Poi il primo album, con un’altra copertina programmatica, una foto di guerriglia urbana in un bianco e nero molto saturo e una serie di pezzi al vetriolo. Ci vorranno altri album prima che le vampe dell’esordio comincino ad apparire meno minacciose.
Formatosi a Cheltenham, non lontano da Bristol, i Pigbag devono le loro fortune all’incontro con il chitarrista Simon Underwood del Pop Group. E sarà proprio l’etichetta Y Records, la stessa del Pop Group, a pubblicare nella primavera del 1981 il primo singolo, lo strumentale Papa’s got a Brand New Pigbag il cui titolo scherza con la famosissima canzone di James Brown. Dopo questo primo singolo la carriera dei Pigbag continuerà fino al 1983 con una serie di album in cui l’elemento del funk colorerà l’impalcatura post-punk della loro musica.