Le cose che piacciono a me

Raindrops on roses and whiskers on kittens / Bright copper kettles and warm woolen mittens / Brown paper packages tied up with strings / These are a few of my favorite things”
Le cose che piacciono a me stanno tra il miele di Julie Andrews e il fiele di Lars von Trier di Dancer in the dark, dove la protagonista e al contempo antagonista del regista danese c’era Bjork.
“Cream colored ponies and crisp apple strudels / Doorbells and sleigh bells and schnitzel with noodles / Wild geese that fly with the moon on their wings / These are a few of my favorite things!”
Tra quei due poli ci sono le decine di versioni di John Coltrane dilatò in lungo e in largo, ogni volta incanalando le note per nuovi meandri, la canzone composta per il musical di The sound of music trasposto poi sul grande schermo da Robert Wise nel 1965.
“Girls in white dresses with blue satin sashes / Snowflakes that stay on my nose and eye lashes / Silver white winters that melt into spring / These are a few of my favorite things!”

“When the dog bites, when the bee stings / When I’m feeling sad, / I simply remember / my favorite things / and then I don’t feel so bad!”

Le meraviglie del paese di Alice

La pianista Alice McLeod ha già  un matrimonio fallito alle spalle e una figlia da tirare su da sola quando conosce John Coltrane. Nell’arco di nemmeno cinque anni i due si sposeranno, avranno tre figli, lei lo accompagnerà  al piano quando nel ’66 McCoy Tyner romperà il sodalizio con Trane non condividendo una musica in territori sempre più free.

Quando un cancro al fegato stroncherà nel luglio del ’67 il grande sassofonista Alice saprà comunque portare avanti la sua ricerca musicale, caratterizzata anche dall’impiego, inusuale in ambito jazz, dell’arpa.

Un ottimo esempio è  l’album Ptah, the El Daoud, in compagnia di Pharoah Sanders, Joe Henderson, Ron Carter e Ben Riley.

Abbattere l’asilo della realtà

Rip Rig & Panic è tra le migliori prove del polistrumentista Rahsaan Roland Kirk registrato nel 1965 con Jaki Byard al piano, Richard Davis, reduce da Out of lunch! di Dolphy e che parteciperà tre anni dopo alle registrazioni di Astral Weeks di Van Morrison, al contrabbasso ed Elvin Jones, fido compare di Coltrane, alla batteria.
Kirk era diventato cieco in seguito a una dose eccessiva di medicinali somministratagli da un’infermiera sbadata. Si fidava dei sogni e fu in seguito a un sogno che cominciò a suonare sul palco anche tre strumenti contemporaneamente! Famoso anche per l’impegno politico che portava avanti in salaci monologhi durante i suoi concerti non si arrese neppure quando un’emorragia cerebrale lo lasciò semiparalizzato: modificò i suoi strumenti e tirò avanti ancora un paio di anni prima che un secondo ictus lo uccidesse alla fine di un concerto nel 1977.
Nel 1981, Gareth Sager e Bruce Smith del Pop Group insieme a Sean Oliver, Mark Springer e la cantante Neneh Cherry (figliastra del trombettista Don Cherry) fondarono i Rip Rig & Panic chiamati così proprio in onore di Kirk. I loro dischi God (1981) e I am cold (1982) sono un ottimo esempio di quel free jazz punk inglese tanto inviso al nostro Franco Battiato in cerca di centri di gravità permanente.

Morirete come mosche

“this whole country is full of lies / You’re all gonna die and die like flies”

Mississippi Goddam fu presentata per la prima volta al pubblico nel marzo del 1964 alla Carnegie Hall di New York. L’anno prima Nina Simone era stata la prima artista di colore ad esibirvisi. Non come pianista classica, sogno che aveva coltivato da ragazzina, ma come cantante oramai affermata e che aveva incamerato nel suo repertorio le istanze delle lotte per i diritti civili aggiornando tanto il teatro mitteleuropeo di Bertolt Brecht e Kurt Weill quanto la canzone popolare israeliana.

Di fronte ai fatti tragici del ’63, con la fucilata nella schiena all’attivista Medgar Evers  e la bomba nella chiesa battista dove perirono quattro ragazzine, Nina Simone scrive l’invettiva di Mississippi Goddam.

A differenza delle dolenti Alabama di John Coltrane e Only A Pawn in Their Game di Bob Dylan, entrambe dedicate agli eventi di quell’anno, le parole di Nina Simone sono accompagnate da una musica allegra e dinamica che rende il testo ancora più suggestivo e diretto.

Cito le parole dell’attivista Dick Gregory dalla bella biografia di Alan Light, What’s happened, Miss Simone? uscito in Italia per Il Saggiatore:

“La franchezza appartiene alla donna. Nonostante tutta la sofferenza vissuta dai neri, nessun uomo nero si azzarderebbe a cantare Mississippi Goddam. Nessun uomo nero direbbe mai quello che dice Billie Holiday sul linciaggio. Non sono state le donne a linciare, sono stati gli uomini, ma sono state le donne a parlarne, e nessuno ha detto loro di farlo. Nessun manager ha detto loro di parlare a quel modo, è qualcosa che hanno dentro.”

E il prezzo da pagare per tanta franchezza sarà salato e renderà ancora più complicata la vita già tormentata sin dall’infanzia della cantante che vedrà ulteriormente incrinato il suo rapporto con il violento marito e manager.

La scoperta dell’acqua calda

L’intento di chi scrive è principalmente quello di percorrere sentieri meno battuti e dare visibilità a realtà musicali meno note. Mi rendo conto che scrivere di un disco ritenuto praticamente all’unanimità tra quelli fondamentali della storia del jazz equivale a snocciolare i più triti luoghi comuni: dal non ci sono più le mezze stagioni al qui era tutta campagna fino al si stava meglio quando si stava peggio.

Evito di scrivere sciocchezze e dico solo che Kind of Blue è per me un’aspirina che fa bene a testa e cuore.  Per i pochi che non hanno ancora ascoltato il sestetto stellare di Miles Davis – al servizio del geniale trombettista ci sono John Coltrane, Julian Cannonball Adderley, Bill Evans, Paul Chambers e Jimmy Cobb – è ora di rimediare.