Tacchi a molla

“Jack dai tacchi a molla” è un personaggio bizzarro e diabolico della Londra vittoriana. Capace di saltare un muretto senza prendere la rincorsa. Spring Heel Jack è un progetto musicale capace di saltare i rigidi steccati dei generi.
Nati come duo di drum n’ bass hanno via via incorporato elementi jazzistici reclutando il meglio dell’avanguardia degli anni ’70 come l’olandese Han Bennink o collaboratori dei Soft Machine come Evan Parker e Paul Rutherford senza dimenticare l’apporto di J Spaceman, al secolo Jason Pierce, chitarrista di Spacemen 3 e Spiritualized. Merito degli Spring Heel Jack la sapienza nel riuscire ad amalgamare il tutto con un’elettronica calda capace di non rendere mai ostico l’impasto sonoro che, ancorché complesso, risulta sempre piacevole e interessante.

L’omino dei sogni

Il sandman è,  nel folklore del Nord Europa, l’omino dei sogni, quella creatura che getta la sabbia negli occhi per portare il sonno. E Mark Sandman, rispettando il suo nome, ha portato sogni fumosi e caliginosi per tutta la  carriera e finché suo cuore gli ha retto. Poi la sera del 3 luglio del ’99 si è fermato, tra una canzone e l’altra sul palco di Palestrina mentre si esibiva con suoi Morphine. Il trio di Boston (con Sandman che suonava un basso con due sole corde, Jarome Dupree prima e Billy Conway poi alla batteria e Dana Colley al sax baritono) aveva saputo creare una splendida miscela di blues, rock e jazz caratterizzata dall’assenza della onnipresente chitarra.

Finti ma di classe

Guidati dall’allampanato John Lurie, che sarà protagonista con Roberto Benigni e Tom Waits del film di Jim Jarmusch Daunbailò, i newyorkesi Lounge Lizards furono inizialmente tacciati di suonare fake-jazz visto la loro provenienza da ambienti punk e no wave. Ma è proprio l’approccio poco ortodosso al jazz a dare quel quid in più al loro esordio, eponimo, del 1981. Con John Lurie in quella prima prova discografica c’erano il fratello Evan al piano, il bassista Steve Piccolo, il batterista Anton Fier e il chitarrista di origini brasiliane Arto Lindsay, già nei DNA.

L’importanza della Consonanza

Ribattezzatosi per l’occasione The Group, il Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza registra nel 1970 questo disco sospeso tra jazz, avanguardia e psichedelia. Ennio Morricone si traveste da Miles Davis e con la sua tromba sottolinea i fraseggi di Franco Evangelisti, Mario Bertoncini, Walter Branchi, Bruno Battisti D’Amario, Egisto Macchi, Renzo Restuccia e John Heineman. L’intellighenzia della musica sperimentale e d’avanguardia italiana in uno scenario di jungla forato dagli stridii degli uccelli meccanici in copertina.

Ovviamente per avere una ristampa di questo album si è dovuto attendere la bellezza di quarantaquattro anni!

Cuore di pietra (Made in Japan #6)

La sanukite è una roccia vulcanica. La velocità del suono nella sanukite è di circa sei chilometri al secondo. Prima che musicisti come Stomu Yamashta, percussionista ed enfant prodige nipponico, e Lionel Hampton, eccezionale vibrafonista jazz, scoprissero le qualità sonore della sanukite ci avevano pensato già i monaci buddisti ad utilizzare la sanukite nei templi per estrarre suoni durante le funzioni.

“Lo strumento parlava da solo. Era un universo in sé. E io dovevo essere e sentirmi parte di quell’universo. Questo più grande Sé, universale, che noi chiamiamo dai-ga, doveva incorporarmi. E quando sono diventato consapevole dell’esistenza di questo grande Sé, solo allora ho fatto esperienza del vuoto, del silenzio: sono diventato davvero parte del cosmo”

L’anarchia flottante dei folletti folli

Ho pescato su Youtube un video dei fenomenali Gong di Daevid Allen, quando nel 1971 parteciparono alla trasmissione Jazz Land della TV francese. La formazione, mancano ancora il batterista Pip Pyle e il chitarrista  Steve Hillage è praticamente quella che da lì a poco darà inizio alla saga di Radio Gnome, della Teiera Volante e dei Folletti del pianeta Gong. Folli sarabande in cui si mescolano i suoni di Canterbury, della psichedelia, della West Coast americana a caratterizare la loro musica apolide.  E non poteva essere altrimenti per un gruppo capitanato da un australiano di stanza a Parigi.

Il quartetto fantasma

Triste ammetterlo ma è sempre più difficile che le mie orecchie digeriscano la musica sfornata negli ultimi dieci anni. Alcune ricerche dicono che passati i trenta sia normale e d’altronde conosco chi ascolta la solita rumenta che ascoltava venti o trent’anni fa: a ognuno le sue miserie.

Capitano poi belle sorprese come quella di imbattermi in questo trio bretone di jazz scurissimo attivo da una quindicina d’anni e che omaggia già nel nome le atmosfere di Twin Peaks di Lynch – l’agente Dale Cooper è uno dei protagonisti della serie passata e presente – forte delle musiche di Angelo Badalamenti. Alla primigenia fonte di ispirazione si aggiungono suoni di matrice dark-wave spesso accompagnati con interventi vocali ora cupi e profondi alla Swans ora eterei e debitori di molto dreampop anni ’80.

Quattro album licenziati finora e tutti da ascoltare con attenzione: Parole de Navarre (2006), Metamanoir (2011), Quatorze pieces de menace (2013) e il recentissimo Astrild Astrild (2017).

Il risveglio del Golem

“Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna a via Celetná a casa sua, con bombetta, vestito di nero. Ancor oggi, ogni notte, Jaroslav Hasek, in qualche taverna, proclama ai compagni di gozzoviglia che il radicalismo è dannoso e che il sano progresso si può raggiungere solo nell’obbedienza. Praga vive ancora nel segno di questi due scrittori, che meglio di altri hanno espresso la sua condanna senza rimedio, e perciò il suo malessere, il suo malumore, i ripieghi della sua astuzia, la sua finzione, la sua ironia carceraria”.

La “Praga magica di Angelo Maria Ripellino è popolata da una folla di personaggi: letterati, astronomi, rabbini, boia, un re che colleziona automi e si fa ritrarre scomposto in ortaggi e verzura. Una città fredda e misteriosa come misteriosa e clandestina è stata la scena musicale ceca. Scena che ha prodotto una perla come “Coniuncto”, ottimo LP di jazz-rock registrato nella primavera del 1970 dai Blue Effect in compagnia dei Jazz Q Praha e a pieno diritto inserito nella mitica lista dei Nurse With Wound. L’incontro tra i due gruppi si rivela una miscela altamente esplosiva. Uno squarcio aperto nella nebbia pronta a richiudersi in fretta quasi quanto l’apparizione del golem delle favole ebraiche.
“Ma le cose si fanno funeste, quando è il Golem, l’argilla imbecille, ad imbertonirsi. Odor di cunno risveglia anche il limo, dentro le brache dell’orco si accende la mostruosa candela. E che tetraggine gufesca, che sentore di apocalisse in questa libidine. Si chiami Esther o Golde o Mirjam o Abigail, la figlia civetta del rabbi desta le voglie del grosso mandrone di luto. È conseguenza delle sue brame lascive l’ansia che lo bistratta, di uscire dalla condizione d’automa, di avere un’anima umana”.

La scoperta dell’acqua calda

L’intento di chi scrive è principalmente quello di percorrere sentieri meno battuti e dare visibilità a realtà musicali meno note. Mi rendo conto che scrivere di un disco ritenuto praticamente all’unanimità tra quelli fondamentali della storia del jazz equivale a snocciolare i più triti luoghi comuni: dal non ci sono più le mezze stagioni al qui era tutta campagna fino al si stava meglio quando si stava peggio.

Evito di scrivere sciocchezze e dico solo che Kind of Blue è per me un’aspirina che fa bene a testa e cuore.  Per i pochi che non hanno ancora ascoltato il sestetto stellare di Miles Davis – al servizio del geniale trombettista ci sono John Coltrane, Julian Cannonball Adderley, Bill Evans, Paul Chambers e Jimmy Cobb – è ora di rimediare.