Il quartetto fantasma

Triste ammetterlo ma è sempre più difficile che le mie orecchie digeriscano la musica sfornata negli ultimi dieci anni. Alcune ricerche dicono che passati i trenta sia normale e d’altronde conosco chi ascolta la solita rumenta che ascoltava venti o trent’anni fa: a ognuno le sue miserie.

Capitano poi belle sorprese come quella di imbattermi in questo trio bretone di jazz scurissimo attivo da una quindicina d’anni e che omaggia già nel nome le atmosfere di Twin Peaks di Lynch – l’agente Dale Cooper è uno dei protagonisti della serie passata e presente – forte delle musiche di Angelo Badalamenti. Alla primigenia fonte di ispirazione si aggiungono suoni di matrice dark-wave spesso accompagnati con interventi vocali ora cupi e profondi alla Swans ora eterei e debitori di molto dreampop anni ’80.

Quattro album licenziati finora e tutti da ascoltare con attenzione: Parole de Navarre (2006), Metamanoir (2011), Quatorze pieces de menace (2013) e il recentissimo Astrild Astrild (2017).

Il risveglio del Golem

“Ancor oggi, ogni notte, alle cinque, Franz Kafka ritorna a via Celetná a casa sua, con bombetta, vestito di nero. Ancor oggi, ogni notte, Jaroslav Hasek, in qualche taverna, proclama ai compagni di gozzoviglia che il radicalismo è dannoso e che il sano progresso si può raggiungere solo nell’obbedienza. Praga vive ancora nel segno di questi due scrittori, che meglio di altri hanno espresso la sua condanna senza rimedio, e perciò il suo malessere, il suo malumore, i ripieghi della sua astuzia, la sua finzione, la sua ironia carceraria”.

La “Praga magica di Angelo Maria Ripellino è popolata da una folla di personaggi: letterati, astronomi, rabbini, boia, un re che colleziona automi e si fa ritrarre scomposto in ortaggi e verzura. Una città fredda e misteriosa come misteriosa e clandestina è stata la scena musicale ceca. Scena che ha prodotto una perla come “Coniuncto”, ottimo LP di jazz-rock registrato nella primavera del 1970 dai Blue Effect in compagnia dei Jazz Q Praha e a pieno diritto inserito nella mitica lista dei Nurse With Wound. L’incontro tra i due gruppi si rivela una miscela altamente esplosiva. Uno squarcio aperto nella nebbia pronta a richiudersi in fretta quasi quanto l’apparizione del golem delle favole ebraiche.
“Ma le cose si fanno funeste, quando è il Golem, l’argilla imbecille, ad imbertonirsi. Odor di cunno risveglia anche il limo, dentro le brache dell’orco si accende la mostruosa candela. E che tetraggine gufesca, che sentore di apocalisse in questa libidine. Si chiami Esther o Golde o Mirjam o Abigail, la figlia civetta del rabbi desta le voglie del grosso mandrone di luto. È conseguenza delle sue brame lascive l’ansia che lo bistratta, di uscire dalla condizione d’automa, di avere un’anima umana”.

La scoperta dell’acqua calda

L’intento di chi scrive è principalmente quello di percorrere sentieri meno battuti e dare visibilità a realtà musicali meno note. Mi rendo conto che scrivere di un disco ritenuto praticamente all’unanimità tra quelli fondamentali della storia del jazz equivale a snocciolare i più triti luoghi comuni: dal non ci sono più le mezze stagioni al qui era tutta campagna fino al si stava meglio quando si stava peggio.

Evito di scrivere sciocchezze e dico solo che Kind of Blue è per me un’aspirina che fa bene a testa e cuore.  Per i pochi che non hanno ancora ascoltato il sestetto stellare di Miles Davis – al servizio del geniale trombettista ci sono John Coltrane, Julian Cannonball Adderley, Bill Evans, Paul Chambers e Jimmy Cobb – è ora di rimediare.