Verità astratta

Nel 1962 Oliver Nelson, sassofonista laureatosi in composizione alla Lincoln University nel ’58 e con esperienze in big band arruola una formazione di all stars e con questa incide per la Impulse l’album The Blues and the Abstract Truth. Pezzo forte dell’album è il brano d’apertura, Stolen Moments, che diventerà un vero e proprio standard. I protagonisti di questa registrazione stellare? Freddie Hubbard alla tromba, Eric Dolphy al sassofono, Bill Evans al piano, Paul Chambers al contrabbasso e Roy Haynes alla batteria.

Gemme di jam

Gli australiani Necks, Chris Abrahams al pianoforte, Tony Buck alla batteria e Lloyd Swanton al basso, suonano e incidono insieme da quasi trent’anni: l’album d’esordio, Sex, è infatti del 1989. I loro dischi sono quasi sempre formati da un’unica traccia estesa, un lungo flusso sonoro che si snoda attorno una primigenia linea melodica. I critici tirano in ballo il minimalismo e il jazz, di fatto, i tre, sono capaci di creare territori sonori in cui l’ascoltatore è rapito come cadendo in una dimensione onirica. Silverwater, del 2009, è uno dei miei album preferiti del trio.

Disturbo bipolare

Una vita sospesa tra gli opposti e dalle multiple personalità: questo è James Siegfrid, cantante e sassofonista al pubblico noto come leader dei James Chance & The Contortions e dei James White & The Blacks. Oppure dei The Flaming Demonics, o dei James Chance & the Sardonic Symphonics, o ancora dei James Chance and Terminal City. E non meno disturbata e disturbante è la musica sospesa in maniera spericolata tra jazz e no wave, tra Ornette Coleman e James Brown. Ma erano tempi ricchi di incroci impossibili quelli della Grande Mela di fine anni settanta!

Lo strappacuore

Sono solo due le cose che contano: l’amore, in tutte le sue forme, con belle ragazze, e la musica di New Orleans e di Duke Ellington. Tutto il resto è da buttar via, perché è brutto…” (Boris Vian, dalla prefazione a ‘L’Écume des Jours‘)

Nel primo dopoguerra l’emittente radiofonica newyorkese WNEW trasmise per 48 puntate il programma Jazz in Paris curato dallo scrittore e poeta francese Boris Vian. L’intento era quello di presentare al pubblico americano il jazz francese: arrivarono anche così alle orecchie d’oltreoceano le note di Django Reinhardt, Stephane Grappelli, Claude Luter. Peccato che nessuna registrazione si sia salvata ma fortunatamente rimangono i testi preparati da Vian per le trasmissioni. Ma lo stesso inesauribile Vian oltre che critico musicale fu lui stesso musicista e paroliere, surreale e antimilitarista. Una vita troppo intensamente vissuta e stroncata il 23 giugno del ’59, 59 anni fa, da un infarto che lo colse al cinema mentre guardava infastidito la trasposizione cinematografica del suo romanzo Sputerò sulle vostre tombe, l’unico che ebbe successo commerciale pur essendo nato come parodia degli hard-boiled americani.

Fior di jazz dai fiordi

Strepitoso disco di jazz, registrato dal chitarrista norvegese Terje Rypdal in compagnia di Bjørnar Andresen  al basso ed Espen Rud alla batteria, Min Bul viene registrato nell’autunno del 1970 ad Oslo e stampato in sole trecento copie. Per fortuna una di queste copie perviene alle orecchie dei Nurse With Wound che inseriranno il disco di Rypdal e soci nella famigerata lista che campeggia sulla copertina di uno dei loro primi dischi e divenuta nel tempo miniera di sconosciuti capolavori come questo disco.

 

Due volti di Ginevra

“That is a very unusual song, it’s in a very strange tuning with strange time signatures. It’s about three women that I loved. One of who was Christine Hinton, the girl who got killed who was my girlfriend, and one of who was Joni Mitchell and the other one is somebody that I can’t tell. It might be my best song.” (David Crosby)
Inutile dilungarsi sulle virtù di Crosby Stills & Nash, l’album della famosa copertina con i tre sul divano in ordine inverso alla sigla sociale: storia vuole che quando i tre tentarono di rimediare all’errore, tornando in cerca del divano, scoprirono che non c’era più!
Tra molti episodi memorabili come Marrakech Express o Wooden Ships, la mia preferita resta Guinnevere, frutta del sacco di David Crosby. Di questa canzone si innamorò anche Miles Davis che ne registrò una lunga trasfigurata versione durante le sessions di Bitches Brew. Il brano però rimase inedito fino alla pubblicazione, un paio di decenni dopo, delle intere sessions.

Il jazz dell’apartheid

L’apartheid, il sistema di segregazione razziale che per decenni ha disonorato il Sudafrica non risparmiò neppure la musica. I Blue Notes, formazione jazz che includeva musicisti bianchi e neri, erano costretti a esibirsi in clandestinità. Fu così che molti musicisti come Mongezi Feza e Dudu Pukwana andarono a cercare fortuna in Inghilterra. Tantissime collaborazioni con musicisti jazz e progressive e un paio di dischi a nome Assagai (il primo uscito per la Vertigo nel 1971). A Mongezi Feza, trombettista eclettico e sbarazzino, toccò una fine troppo precoce, nel 1975, a soli trent’anni, per una polmonite mal curata. Aveva da poco collaborato a quei due capolavori che sono Rock Bottom di Robert Wyatt e In Praise of Learning degli Henry Cow. Mongs lasciò in eredità alla musica britannica quella sfrenata energia e gioia di vivere tipica della township music dei ghetti delle metropoli sudafricane.

Dall’Illinois all’Île de France

Invitati nel 1969 a un festival a Parigi la Roscoe Mitchell Art Ensemble volò dall’Illinois in Europa. Il gruppo di jazzisti vide nella Francia post-sessantottina  un ottimo brodo di coltura dove fare attecchire le proprie miscele sonore che incorporavano tanto elementi della tradizione africana quanto dell’avanguardia più colta. Così, ribattezzatosi Art Ensemble of Chicago, rimasero un paio d’anni in Francia e a Parigi registrarono una serie di grandi dischi a cominciare dalla colonna sonora di Les Stances a Sophie, pellicola che trattava di liberazione sessuale e in cui i musicisti comparivano in alcune scene sul palco con i volti dipinti come tradizionali guerrieri africani.

Colonna sonora fantastica arricchita dalla splendida voce di Fontella Bass, moglie del trombettista Lester Bowie. A completare la superba formazione dell’Art Ensemble of Chicago c’erano Roscoe Mitchell (sax e clarino), Joseph Jarman (sax), Malachi Favors (contrabbasso) e Don Moye (batteria e percussioni).

Corni d’Africa

Fu merito del genio di Jim Jarmusch, che lo inserì nella colonna sonora di Broken Flowers, la riscoperta di Mulatu Astatke, musicista etiope autore di una brillante miscela di ritmi africani e della tradizione copta, latini e jazz.

Trasferitosi negli anni sessanta per studiare musica prima a Londra e poi, nei settanta, a Boston ha dovuto aspettare gli anni duemila per avere quella notorietà rimasta confinata ai cultori dell’ethio-jazz.

Come San Tommaso mettetici il naso (e le orecchie)

Cosa si può scrivere di un disco che è ritenuto tra i migliori album jazz di sempre? Poco o niente, la cosa migliore è riascoltarselo e basta. Non ve ne frega niente che la traccia iniziale St. Thomas è stata a lungo la mia sveglia mattutina? E chi se ne importa, in fondo avete pienamente ragione. Dimentivavo: il disco è Saxophone Colossus e lui è Sonny Rollins in compagnia di Max Roach alla batteria, Tommy Flanagan al piano e Doug Watkins al contrabbasso. L’anno è il 1956.