La grand boucle

Les triplettes de Belleville (da noi tradotto con un banalissimo Appuntamento a Belleville) è un film d’animazione franco-belga-canadese diretto da Sylvain Chomet. Non poteva quindi che essere triste, anzi: tristissimo.
Il piccolo Champion (raffigurato come una caricatura di Fausto Coppi) dopo un’infanzia infelice in cui ha come unico amico un cane sgraziatissimo diventa  ciclista professionista e partecipa al tour de France: viene rapito e costretto insieme ad altri suoi colleghi da una banda di criminali a pedalare ininterrottamente davanti a uno schermo dove si srotolano senza soluzione di continuità le mille strade e stradine del tour come in un folle videogioco.
La nonna di Champion, Madame Souza, il cane Bruno e tre vecchie cantanti decrepite un tempo famose e note come Les triplettes de Belleville vanno alla ricerca di Champion in una metropoli cupa e minacciosa. Gran bella colonna sonora dedicata al jazz del chitarrista franco-belga Django Reinhardt e che si merito una nomination agli Oscar per la miglior canzone originale Belleville Rendez-vous, scritta e cantata da Matthieu Chédid, musicista francese noto con l’insolito pseudonimo di -M-.

Pulviscoli di jazz

Attivo anche con gli pseudonimi di Gramm e Farben, cosa piuttosto usuale per la scena della musica elettronica, il tedesco Jan Jelinek ha dato alle stampe nel 2001 l’ottimo Loop-Finding-Jazz-Records, cinquanta minuti di astrazioni sonore in cui la materia prima, polverizzata e ricomposta, è jazz. O parrebbe essere tale, ammesso e non concesso, che la parola jazz denoti qualcosa di ben determinato.

Tutto ventagli e silenzi

Il 17 settembre 1962 nei Sound Makers Studios di New York City si ritrova, citando Paolo Conte,  il grande boxeur tutto ventagli e silenzi ovvero il leggendario pianista Duke Ellington, ormai sessantatreenne con due più giovani e affermati colleghi, il contrabbassista Charles Mingus e il batterista Max Roach. I due si mettono al servizio del Duca, non senza qualche attrito come vuole la vulgata della genesi del disco, e sfornano, tra classici di Ellington (Caravan, Solitude) e pezzi registrati per l’occasione come la splendida Fleurette Africain, l’LP Money Jungle.

La silenziosa via

Registrato nel febbraio del 1969 In a Silent Way è In pratica il prologo di Bitches Brew, il capolavoro “elettrico” di Miles Davis. Qui c’è già quasi tutta la formazione che collaborerà col geniale trombettista e soprattutto compare quel modus operandi fatto di improvvisazione in studio e riassemblaggio dei nastri in post-produzione con l’apporto del fondamentale Teo Macero.  Miles Davis, che in quel periodo guardava al rock e sperava in una collaborazione con Jimi Hendrix, arruola John McLaughlin alla chitarra elettrica, Dave Holland al basso, Tony Williams alla batteria, Wayne Shorter al sax soprano e ben tre tastieristi, Chick Corea, Herbie Hancock e l’austriaco Joe Zawinul.

Hot Club (Jazz in Paris #2)

In una scena de La dea dell’amore, il protagonista, interpretato dal regista, Woody Allen, propone di chiamare il figlio Django come Django Reinhardt, il famoso chitarrista di origini sinti che con il violinista Stephane Grappelli, il bassista Louis Vola e gli altri due chitarristi Roger Chaput e il fratello minore di Reinhardt, Joseph formarono nel 1934 il Quintette de Hot Club de France. Nell’importante programma radiofonico newyorkese ideato da Boris Vian, il quintetto, che aveva la pecularietà di essere formato da soli strumenti a corda, venne presentato subito dopo Philippe Brun.

Il jazz strappacuore (Jazz in Paris #1)

Il libro Jazz in Paris raccoglie i testi delle trasmissioni radiofoniche preparate da Boris Vian per la WNEW. La radio newyorkese trasmise infatti nel periodo 1948-49 il meglio del jazz proveniente dalla capitale francese che vide in quegli anni un gran fermento grazie anche ai tanti musicisti americani che a Parigi trovarono il successo e lì scelsero di stabilirsi per periodi più o meno lunghi. Il primo artista ad essere presentato al pubblico americano fu il trombettista Philippe Brun, nato nel 1928 e negli anni al fianco di Django Reinhardt, Ray Ventura, Alix Combelle.

Verità astratta

Nel 1962 Oliver Nelson, sassofonista laureatosi in composizione alla Lincoln University nel ’58 e con esperienze in big band arruola una formazione di all stars e con questa incide per la Impulse l’album The Blues and the Abstract Truth. Pezzo forte dell’album è il brano d’apertura, Stolen Moments, che diventerà un vero e proprio standard. I protagonisti di questa registrazione stellare? Freddie Hubbard alla tromba, Eric Dolphy al sassofono, Bill Evans al piano, Paul Chambers al contrabbasso e Roy Haynes alla batteria.

Gemme di jam

Gli australiani Necks, Chris Abrahams al pianoforte, Tony Buck alla batteria e Lloyd Swanton al basso, suonano e incidono insieme da quasi trent’anni: l’album d’esordio, Sex, è infatti del 1989. I loro dischi sono quasi sempre formati da un’unica traccia estesa, un lungo flusso sonoro che si snoda attorno una primigenia linea melodica. I critici tirano in ballo il minimalismo e il jazz, di fatto, i tre, sono capaci di creare territori sonori in cui l’ascoltatore è rapito come cadendo in una dimensione onirica. Silverwater, del 2009, è uno dei miei album preferiti del trio.

Disturbo bipolare

Una vita sospesa tra gli opposti e dalle multiple personalità: questo è James Siegfrid, cantante e sassofonista al pubblico noto come leader dei James Chance & The Contortions e dei James White & The Blacks. Oppure dei The Flaming Demonics, o dei James Chance & the Sardonic Symphonics, o ancora dei James Chance and Terminal City. E non meno disturbata e disturbante è la musica sospesa in maniera spericolata tra jazz e no wave, tra Ornette Coleman e James Brown. Ma erano tempi ricchi di incroci impossibili quelli della Grande Mela di fine anni settanta!

Lo strappacuore

Sono solo due le cose che contano: l’amore, in tutte le sue forme, con belle ragazze, e la musica di New Orleans e di Duke Ellington. Tutto il resto è da buttar via, perché è brutto…” (Boris Vian, dalla prefazione a ‘L’Écume des Jours‘)

Nel primo dopoguerra l’emittente radiofonica newyorkese WNEW trasmise per 48 puntate il programma Jazz in Paris curato dallo scrittore e poeta francese Boris Vian. L’intento era quello di presentare al pubblico americano il jazz francese: arrivarono anche così alle orecchie d’oltreoceano le note di Django Reinhardt, Stephane Grappelli, Claude Luter. Peccato che nessuna registrazione si sia salvata ma fortunatamente rimangono i testi preparati da Vian per le trasmissioni. Ma lo stesso inesauribile Vian oltre che critico musicale fu lui stesso musicista e paroliere, surreale e antimilitarista. Una vita troppo intensamente vissuta e stroncata il 23 giugno del ’59, 59 anni fa, da un infarto che lo colse al cinema mentre guardava infastidito la trasposizione cinematografica del suo romanzo Sputerò sulle vostre tombe, l’unico che ebbe successo commerciale pur essendo nato come parodia degli hard-boiled americani.