Accoppiamenti giudiziosi

Scoperto casualmente un po’ di tempo fa, The Take Vibe EP contiene un pezzo assolutamente geniale: Golden Brown degli Stranglers rimiscelata con Take Five di Dave Brubeck. A complemento una cover jazz di Walking on the Moon dei Police. Lode all’autore, Laurence Mason, sassofonista, che durante il lockdown tirò fuori questo geniale tributo al tastierista degli Stranglers, Dave Greenfield, morto per Covid e Paul Desmond, sassofonista del quartetto di Brubeck. Chapeaux.

 

Radio attiva

13 febbraio. Data scelta dall’UNESCO quale giornata mondiale della radio, che sentitamente ringrazio per l’inestimabile compagnia quotidiana e omaggio con un post dedicato alla colonna sonora di Radio days, film tributo di Woody Allen ai tempi eroici della radio.

Le canzoni accompagnano le vicissitudini di una famiglia newyorkese di origine ebraica. Si potrebbe polemizzare che nella radio d’anteguerra compariva solo jazz fatto dai bianchi, edulcorato e inoffensivo. Ma d’edulcorato e inoffensivo oggi lo spazio hertziano ne è strapieno.

Di necessità virtù

Comincia letteralmente in Gloria la carriera di Van Morrison, con la hit da classifica dei suoi Them. Poi il trasferimento negli Stati Uniti, il primo disco solista, contenente la splendida Brown-eyed girl, gli screzi con la casa discografica, gli scarsi soldi che non gli permettono di avere una band. Ma proprio il non potersi permettere altro che l’accompagnamento di un flautista e di un bassista fa da premessa ad Astral Weeks. Van Morrison ha solo ventitre anni e tira fuori questo capolavoro di folk dove la natia Irlanda incontra il jazz.

Il monaco in mono

Stanchi di suoni laccati e iperprodotti? Ho scovato un canale Youtube che raccoglie LP di jazz registrati rigorosamente in mono, le prime registrazioni stereo risalgono al 1958, amorevolmente digitalizzati. C’è anche questo LP, uscito nel ’55 per la Blue Note, che  metteva insieme brani registrati tra il ’48 e il ’52, con varie formazioni, da Thelonious Monk, il  “monaco”, e dal grande vibrafonista Bags, al secolo Milt Jackson.

Il succo e l’ombra

Barney Kessel è stato un grande chitarrista jazz. Nato nel 1923 da una famiglia di origine ebrea ungherese si affermò come prezioso session man, partecipando nel 1966 addirittura alle registrazioni di Pet Sounds dei Beach Boys.

Nel 1944 partecipò al cortometraggio Jammin’ the Blues, in pratica una jam session, che vedeva la presenza, tra gi altri, di Lester Young, Red Callender, Marie Bryant. Essendo Barney l’unico musicista bianco del cast, la regia non trovò di meglio che farlo suonare nella penombra e, al momento di eseguire il primo piano delle sue mani, di tingergliele con succo di mirtillo.

Una cospirazione lunga mezzo secolo

Invidio chi ha sentito pochi dischi e riesce a sorprendersi ad ogni nuovo ascolto. Oramai mi capita di rado ma capita. Qualche notte fa, mentre ero al volante, la mia adorata Controradio mi ha fatto sobbalzare: con mezzo secolo di ritardo ho fatto conoscenza di Jeanne Lee, cantante jazz, compositrice e poetessa. Il suo primo album solista, Conspiracy, viene registrato nel 1974. Affiancata dal marito Gunter Hampel, vibrafonista tedesco, Sam Rivers al sax, Jack Gregg al contrabbasso, Perry Robinson al clarinetto, Mark Whitecage al clarinetto alto, Allan Praskin al clarinetto, Marty Cook al trombone e Steve McCall alla batteria, il disco travalica il genere jazz e si dispiega in un caleidoscopio di suoni dove la voce multiforme di Jeanne Lee si erge ad assoluta protagonista. Da ascoltare!

Con le luci spente è meno pericoloso?

Mi sono imbattuto in una cover di Smells Like Teen Spirit dei Nirvava eseguita da Robert Glasper. Robert Glasper suona il piano e pubblica per l’etichetta Blue Note, nome quasi sinonimo di jazz. Scorrono le dita sui tasti del piano, mia figlia si addormenta, a me viene voglia di pogare.

Incuriosito, ho ascoltato altre cose di Glasper, potabilissime ma nessuna che mi abbia scaldato il cuore se si eccettua un’altra cover, stavolta dei Radiohead,  Packt Like Sardines in a Crushd Tin Box.

La mia riflessione però non va all’onesto Glasper e al suo jazz pieno di contaminazioni, ma a come, pur depurata di tutto, il brano simbolo della band di Seattle, il capolavoro nato da un tragico equivoco, Cobain ignorava che lo spirito adolescenziale, il Teen Spirit, era un banale deodorante femminile, conservi tutta la sua magmatica forza.

Degli infiniti eliocentrici mondi

Troppo spesso la mia smania di completista mi porta ad ascoltare intere discografie, con tanto di rarità e scarti più o meno evitabili. Ma di fronte alla messe sterminata di album realizzati da Sun Ra devo dichiararmi sconfitto in partenza e abbandonarmi all’ascolto pescando qua e là  che in fondo ci si azzecca sempre: che si caschi nel jazz più  convenzionale, nel free-jazz o in contesti più sperimentali si casca sempre bene perché  sotto gli abiti spazial-orientaleggianti di quel gran mattacchione, che ha sostenuto per una vita di essere andato su Saturno e con una sicumera tale da finire nel ’71 a tenere un corso di filosofia a Berkeley, si nascondeva un musicista geniale.

Le meraviglie del paese di Alice

La pianista Alice McLeod ha già  un matrimonio fallito alle spalle e una figlia da tirare su da sola quando conosce John Coltrane. Nell’arco di nemmeno cinque anni i due si sposeranno, avranno tre figli, lei lo accompagnerà  al piano quando nel ’66 McCoy Tyner romperà il sodalizio con Trane non condividendo una musica in territori sempre più free.

Quando un cancro al fegato stroncherà nel luglio del ’67 il grande sassofonista Alice saprà comunque portare avanti la sua ricerca musicale, caratterizzata anche dall’impiego, inusuale in ambito jazz, dell’arpa.

Un ottimo esempio è  l’album Ptah, the El Daoud, in compagnia di Pharoah Sanders, Joe Henderson, Ron Carter e Ben Riley.

Tornerà un altro inverno

L’inverno svapora ma tornerà puntuale come kepleriana abitudine. Poi verrà l’estate e sarà difficile odiarla dopo l’imposta reclusione primaverile. Ma non verrà meno l’amore incondizionato per il brano di Bruno Martino che qui rispolvero in una versione di 17 minuti di Chet Baker, il grande trombettista americano che recluso, nel carcere di Lucca, lo fu davvero: ben sedici mesi dopo l’arresto in un autogrill avvenuto nel 1960 proprio l’anno in cui Martino pubblicava la sua hit.

Pare che i ragazzini andassero sotto le mura del penitenziario di San Giorgio per sentire la sua tromba. Chissà se già allora suonasse l’Estate.