Spazio profondo

Dal punto di vista economico il terzo e ultimo festival dell’isola di Wight, nel 1970, si rivelò come il più disastroso dei fallimenti. Ma nei cinque leggendari giorni di musica si alternarono Jimi Hendrix (e fu la sua ultima apparizione prima della morte), Doors, Miles Davis, Who, Leonard Cohen, Joni Mitchell, Donovan, ELP, Joan Baez, Ten Years After, Jethro Tull, Free, Moody Blues, Family, Procol Harum, Gilberto Gil, Black Widow, Pentangle, Richie Havens, Sly & The Family Stone, Supertramp e tanti altri. C’erano a suonare, ma solo fuori dai cancelli da bravi indesiderati, anche i rozzi Hawkwind di Dave Brock. La stagione hippie era al tramonto e si portava via le good vibrations, nella psichedelia degli Hawkwind subentravano quei bad trip che prendevano forma attraverso massicce dosi di hardrock unite ai testi fantascientifici, ai lightshow e alla giunonica Stacia che durante un concerto salì sul palco, si spogliò, si dipinse il corpo e cominciò a danzare divenendo ipso facto un membro del gruppo.

Space ritual, doppio LP del 1973 (con Lemmy al basso, dopo l’esperienza con i Sam Gopal e prima dei Motorhead), catturò dal vivo il loro devastante potenziale space-rock dopo tre ottimi album: l’omonimo Hawkwind (1970), In Search of space (1971) e Doremi Fasol Latido (1972).

Tutta questa scienza che non capisco

La corsa allo spazio che caratterizzò gli anni della guerra fredda, culminando con la conquista della Luna da parte degli americani, colpì l’immaginario collettivo ispirando cinema, musica e letteratura. Nacquero lo space-rock degli Hawkwind e la musica cosmica teutonica e si avviarono vere e proprie saghe come quelle del pianeta Gong dell’omonima band di Daevid Allen e del pianeta Kobaia dei Magma di Christian Vander con tanto di testi in kobaiano.  Ma ovviamente la saga più famosa fu quella di Ziggy Stardust e gli Spiders from Mars, l’incarnazione più celebre di David Bowie che però aveva già trattato i temi spaziali con Space Oddity tre anni prima, in quel fatidico 1969 della passeggiata di Armstrong sul suolo lunare.

Orgoglioso di essere arrivato prima di altri, ma non  primo in assoluto, David non gradì l’invasione di campo di Elton John, entrato in classifica con Rocket Man un attimo prima dell’uscita della sua Starman e che riteneva una scopiazzatura di Space Oddity. A corroborare i suoi sospetti c’era la presenza dietro al pezzo di Elton John del produttore Gus Dudgeon, lo stesso che aveva lavorato con Bowie a Space Oddity.

Rocket Man, una canzone il cui tema è in fondo quello dell’emigrante che lascia la famiglia e va a lavorare sulla fredda Marte, finì per aprire le porte del successo ad un Elton John che adottò proprio in quel periodo e ancora una volta sulle orme di Bowie, l’estetica glam-rock e quel look stravagante che diventerà il suo tratto distintivo.