I dublinesi

“If I die, I die”. Questo il titolo tautologico del miglior disco dei Virgin Prunes. Un disco fuori dal tempo, tribale e tecnologico, capace di rendere palpabile, quasi visibile, la componente teatrale dei loro concerti. Le voci di Gavin Friday, Guggi e Dave-Id (segnato nella voce e nel fisico da una meningite infantile) imbastiscono i loro occulti cerimoniali. E non è da meno la controparte strumentale capace di passare dal rumorismo più sperimentale a suoni new wave e danzerecci.

A differenza del gruppo dublinese per eccellenza, gli U2, cui erano strettamente legati (il chitarrista dei Virgin Prunes è il fratello di The Edge e fu Gavin Friday ad appiccicare al cantante degli U2 il fortunato nomignolo di Bono Vox) durarono molto poco vittime delle forze centrifughe che animavano i membri del gruppo: anni fa un tale mi raccontò di averli visti addirittura venire alle mani dopo un concerto tenuto a Firenze nel febbraio dell’82.

In Bloom

“Un uomo di genio non commette sbagli. I suoi errori sono volontari e sono i portali della scoperta.”

E’ il 16 giugno di 113 anni fa il giorno in cui Leopold Bloom si incammina per le strade di Dublino (e il giorno del primo appuntamento tra James Joyce e la giovane cameriera Nora Barnacle futura musa e moglie dello scrittore irlandese) . Nell’odissea linguistica dell’Ulysses la parola si fa continuamente musica. Una ricerca della musicalità che aveva caratterizzato lo scrittore sin dagli esordi: una delle sue prime raccolte di poesie è intitolata ‘Chamber Music’ e attinge a piene mani alla poesia e alla musica iraniana. In questa raccolta è presente la poesia ‘Golden Hair’ che sarà messa in musica da Syd Barrett. Originariamente pensata per essere inserita nel primo disco dei Pink Floyd trovò posto su disco solo nel 1970 nell’album solista ‘The Madcap Laughs’.