La tenacia dell’asino

In maliano ‘Farka’ vuol dire asino. Questo fu il soprannome scelto dalla famiglia per il piccolo Alì, decimo figlio e l’unico capace di sopravvivere oltre l’infanzia. Asino, animale tenace come la gente che popola le regioni subsahariane. E la musica di queste regioni non può definirsi in altro modo che blues, quello inestirpabile delle origini, linguaggio universale della sofferenza.
Alì Farka Touré è nato in Mali nel 1939 ed è morto nel 2006 per un tumore alle ossa. E’ stato capace di superare i confini del Mali e attirare l’attenzione dell’Europa e del mondo compresa quella di prestigiosi musicisti come il chitarrista americano Ry Cooder, lo stesso che in compagnia di Wim Wenders andò a riscoprire i musicisti del son cubano regalando fama e notorietà ai magnifici ottuagenari dei Buena Vista Social Club. E con Ry Cooder, Alì ha registrato nel ’94 l’ottimo Talking Timbouctu. Qui invece posto The River, registrato nel ’90 in duo con Amadou Cissé.
https://www.youtube.com/watch?v=qI_h49D1xo8&t=1209s

Il lupo non perde il vizio

Leggenda vuole che nel 1963 Warren Zevon partì dall’assolata Arizona in direzione New York in cerca di fortuna come cantante folk. Aveva appena sedici anni e l’auto appena vinta dal padre, giocatore d’azzardo. Nel 1978 con il singolo Werewolves of London riuscì ad ottenere un discreto successo nonostante le continue ricadute nel vizio dell’alcol che si ripeteranno frequenti nella sua vita.
Nel 1987 il nostro si ritrova in studio con 3/4 dei R.E.M., manca solo Michael Stipe, per le registrazioni di un suo disco solista. Complice l’alcol i quattro in una sera realizzano una serie di cover scanzonate che verranno pubblicate nel 1990 sotto lo pseudonimo Hindu Love Gods. Tra tanti archetipi folk e blues (Woody Guthrie, Robert Johnson, Willie Dixon, Bo Diddley, Muddy Waters) spicca una versione molto rock di Raspberry beret di Prince.

Fine dei giochi

Di verde nella vita di Peter Green, chitarrista, c’è il periodo con i Bluesbreakers di John Mayall e quello con i Fleetwood Mac. Dopo il lungo tunnel dell’ LSD e i conseguenti problemi psichici che lo porteranno alla schizofrenia spazzandolo via dalle scene musicali (anche se nel frattempo circoleranno le leggende più disparate che narreranno di crisi mistiche, fughe in Israele, improbabili occupazioni per sbarcare il lunario tra cui quelli di barista, infermiere e perfino becchino!). Ritornerà a imbracciare la chitarra negli anni ottanta spesso come sessionman talvolta come solista ma senza mai assolutamente graffiare.
Continua invece a mostrare le unghie e le zanne, come il felino in copertina l’ultima incisione prima del ritiro dalle scene: inciso in una sola notte, “The end of the game” rimane una scheggia accecante di blues strumentale sospeso tra jazz e psichedelia dove la sua chitarra rivaleggia con il piano di Zoot Money (già con Centipede e Animals) e il basso di Alex Dmochowski (dalle Mothers di Frank Zappa).

Lo scheletro del blues (Made in Japan #7)

Ecco il disco gemello di Debon dei Brast Burn: Alomoni 1985 dei Karuna Khyal. Due lunghi collage sonori su scheletri blues laddove il gemello era più legato alla psichedelia. Stesse menti dietro i due progetti? Difficile dirlo visto l’aura di mistero che circonda tanti musicisti giapponesi.

Panni sporchi (Made in Japan #5)

Sulle mani lordate di sangue di Keiji Haino si coagulano i grumi sonori di un delitto efferato che si ripete continuamente in una discografia sterminata e incerta fatta per lo più di pessime registrazioni live. Una delle catastrofi più imponenti e clamorose è il primo live a nome Fushitsusha, pubblicato nel 1989 ma probabilmente risalente al 1978. Un massacro sonico di quasi cento minuti sul corpo del blues e della psichedelia degli anni sessanta. Scommetto che a Jimi Hendrix sarebbe tanto piaciuto!