Fine dei giochi

Di verde nella vita di Peter Green, chitarrista, c’è il periodo con i Bluesbreakers di John Mayall e quello con i Fleetwood Mac. Dopo il lungo tunnel dell’ LSD e i conseguenti problemi psichici che lo porteranno alla schizofrenia spazzandolo via dalle scene musicali (anche se nel frattempo circoleranno le leggende più disparate che narreranno di crisi mistiche, fughe in Israele, improbabili occupazioni per sbarcare il lunario tra cui quelli di barista, infermiere e perfino becchino!). Ritornerà a imbracciare la chitarra negli anni ottanta spesso come sessionman talvolta come solista ma senza mai assolutamente graffiare.
Continua invece a mostrare le unghie e le zanne, come il felino in copertina l’ultima incisione prima del ritiro dalle scene: inciso in una sola notte, “The end of the game” rimane una scheggia accecante di blues strumentale sospeso tra jazz e psichedelia dove la sua chitarra rivaleggia con il piano di Zoot Money (già con Centipede e Animals) e il basso di Alex Dmochowski (dalle Mothers di Frank Zappa).

Lo scheletro del blues (Made in Japan #7)

Ecco il disco gemello di Debon dei Brast Burn: Alomoni 1985 dei Karuna Khyal. Due lunghi collage sonori su scheletri blues laddove il gemello era più legato alla psichedelia. Stesse menti dietro i due progetti? Difficile dirlo visto l’aura di mistero che circonda tanti musicisti giapponesi.

Panni sporchi (Made in Japan #5)

Sulle mani lordate di sangue di Keiji Haino si coagulano i grumi sonori di un delitto efferato che si ripete continuamente in una discografia sterminata e incerta fatta per lo più di pessime registrazioni live. Una delle catastrofi più imponenti e clamorose è il primo live a nome Fushitsusha, pubblicato nel 1989 ma probabilmente risalente al 1978. Un massacro sonico di quasi cento minuti sul corpo del blues e della psichedelia degli anni sessanta. Scommetto che a Jimi Hendrix sarebbe tanto piaciuto!