Attenti al lupo

Moanin’ in the moonlight esce nel 1959 per l’etichetta Chess. In copertina c’è un lupo che ulula: il blues agreste e campagnolo del delta del Mississippi è risalito verso le periferie metropolitane raccogliendo tutte le inquietudini e il malessere delle classi nere operaie. E’ il primo album di Howlin’ Wolf, un imponente omone sulla soglia dei cinquant’anni che porta da decenni il suo blues in ogni angolo d’America senza mai averne mai tradito lo spirito. Né lo tradirà in seguito tanto da arrivando a ripudiare un disco come quello  registrato nel ’71 a Londra quando si presentarono in pellegrinaggio alle sessions fior di musicisti come Eric Clapton, Steve Winwood, Ringo Starr, Bill Wyman e Charlie Watts.

Il gufo e l’orso

Il gufo cieco, nomignolo affibbiato da John Fahey al miope Alan Wilson, é polistrumentista e profondo studioso del blues. Dopo aver partecipato alle registrazioni di Great San Bernardino Birthday Party di Fahey, fonda, con l’orso Bob Hite, corpulento fanatico di vecchi e polverosi vinili, i Canned Heat. Partecipano ai leggendari festival di Monterey e Woodstock e nel mezzo trovano anche l’hit da classifica con On the road again, ennesima rilettura di un brano degli anni venti e precoce testamento di Wilson, che muore nel ’70, a soli 27 anni.

La giostra dei folli

Gruppo seminale della scena nostrana che vale la pena riscoprire, i milanesi Carnival of fools di Mauro Ermanno Giovanardi, affondavano le radici nel terreno di quel blues malato di chiara derivazione caveana. Dall’albero dei Carnival of fools dirameranno i più fortunati La Crus e i meno fortunati Santa Sangre (oltre a fornire elementi a Massimo Volume e Afterhours).

La band si sciolse nel 1993, all’indomani del loro ultimo LP Towards the lighted town. La loro storia era cominciata nel 1988 e la loro discografia comprende un EP, Blues off get my shoulders (1989) e un altro album Religious folk (1992). Nel mezzo una strepitosa rilettura di Love will tear us apart dei Joy Division apparsa su una compilation di tributo edita dalla etichetta milanese Vox Pop.

Working Class Heroes

Gli inglesi Third World War durarono poco meno di un triennio ma si distinsero come una delle band più estremiste dell’epoca. Autoproclamatosi working class band portarono avanti con un sound aspro e sanguigno le istanze della classe operaia tanto da essere annoverati spesso come prima punk band inglese, etichetta in fondo fuorviante visto che la loro proposta sonora affondava in melme blues e hard-rock. Affini a Pink Fairies, Deviants, Edgar Broughton Band registrarono due soli album, l’eponimo Third World War, uscito nel ’71 e Third World War 2 l’anno seguente.

Ecco Quah

Allontanarsi significa tornare. Questo predica il Tao. Nel 1974 Jorma Kaukonen lascia i Jefferson Airplane e con l’amico Tom Hobson torna a quel territorio essenziale di chitarre acustiche e voce, accompagnate qua e là da una sezione d’archi (aggiunta purtroppo dagli incauti discografici e che, per fortuna, non fa troppi danni). Un disco, Quah, unplugged vent’anni prima che diventasse l’abusato standard di MTV.

“Into the future we must cross (must cross) / And I’d like to go with you”. 
Genesis è la canzone che apre il disco e che rappresenterà il capolavoro di Kaukonen. Il resto dell’album rimane quasi annichilito dalla prima traccia. Ed è un peccato perché è disco pregevole e filologicamentre importante nel suo recupero di brani della tradizione folk e blues.

Suoni dietro le sbarre

Per tutta la vita Alan Lomax ha raccolto canti popolari, dalle prigioni americane ai cavatori di marmo di Carrara. Fu lui, insieme al padre, l’etnomusicologo John Lomax, a scoprire in una prigione della Louisiana il grande Leadbelly. E fu sempre dai nastri registrati da Lomax nella Spagna franchista che Miles Davis e Gil Evans attinsero le idee che avrebbero portato alla realizzazione di Sketches of Spain, uno dei vertici della produzione davisiana.

Negro Prison Blues and Songs è l’antologia che raccoglie i brani registrati da Lomax nei penitenziari del Mississippi e della Louisiana.

Il picchiatore

Durante le registrazioni di Electric Ladyland Jimi Hendrix chiamò dietro rullanti e tamburi per un paio di brani il batterista degli Electric Flag, il corpulento Buddy Miles, perché secondo lui “picchiava a morte la batteria”. Più tardi, arruolato anche Billy Cox al basso, Jimi diede vita alla Band of Gypsys, formando così un trio di soli neri. Breve esperienza che sfociò in un live tratto da quattro concerti tenuti a New York nel periodo di capodanno del 1970.
Per Buddy Miles, che aveva già alle spalle l’esperienza blues psichedelica degli Electric Flag e un paio di dischi solisti, Expressway to your skull ed Electric church, la carriera continuò tra collaborazioni prestigiose con Santana e John McLaughlin (un disco live registrato con il primo dentro il cratere di un vulcano alle isole Hawaii), disavventure giudiziarie e problemi con la droga.
Ne uscì fuori solo negli anni ’80 quando ottenne anche un grosso successo cantando un pezzo di Marvin Gaye per una pubblicità di uvette californiane!

L’omino dei sogni

Il sandman è,  nel folklore del Nord Europa, l’omino dei sogni, quella creatura che getta la sabbia negli occhi per portare il sonno. E Mark Sandman, rispettando il suo nome, ha portato sogni fumosi e caliginosi per tutta la  carriera e finché suo cuore gli ha retto. Poi la sera del 3 luglio del ’99 si è fermato, tra una canzone e l’altra sul palco di Palestrina mentre si esibiva con suoi Morphine. Il trio di Boston (con Sandman che suonava un basso con due sole corde, Jarome Dupree prima e Billy Conway poi alla batteria e Dana Colley al sax baritono) aveva saputo creare una splendida miscela di blues, rock e jazz caratterizzata dall’assenza della onnipresente chitarra.

I cuor di bue

“Give me moonshine, just let me die”
I Panama Limited Jug Band non sono americani. Nonostante il nome, che richiama una canzone folk degli anni ’30 dedicata ai Panama Limited, i treni che collegavano nel profondo degli Stati Uniti a inizio novecento Chicago e Saint Louis, e nonostante la musica, che attinge a piene mani al folk-blues del Delta e che nel secondo album si connota di prepotenti connotati beefheartiani. I Panama Limited Jug Band sono inglesi e, come tanti gruppi inglesi, ebbero la fortuna di essere lanciati dall’impagabile DJ John Peel riuscendo così a incidere due album per la Harvest. In particolare il secondo ‘Indian summer’ con una splendida copertina realizzata dalla Hipgnosis (quelli della mucca dei Pink Floyd) è un gran disco e purtroppo anche l’epitaffio di un’ottima band.

I figli del capitano

Death of an electric citizen, la traccia che apre Wasa Wasa, album d’esordio della Edgar Broughton Band non lascia dubbi su quanto sia importante l’impronta di Cpt. Beefheart sul sound del trio inglese. Una fonte d’ispirazione che sarà omaggiata anche nella strano medley di Apache drop-out dove fonderanno il pezzo degli Shadows con quello della Magic Band di Beefheart.

Quella dell’Edgar Broughton Band è un hard-blues tiratissimo che fa da tappeto a testi esplicitamente politicizzati e che costituiscono la vera forza motrice del gruppo: infatti esaurita quella, i loro dischi non avranno da dire poi molto di più.

Con Deviants, Pink Fairies, Third World War costituiranno quel nocciolo duro dell’underground britannico dei primi anni settanta che farà proprie le istanze di quella classe operaia che seppure per l’ennesima volta non vedrà il paradiso farà da apripista per i futuri punkrockers.