La giostra dei folli
Gruppo seminale della scena nostrana che vale la pena riscoprire, i milanesi Carnival of fools di Mauro Ermanno Giovanardi, affondavano le radici nel terreno di quel blues malato di chiara derivazione caveana. Dall’albero dei Carnival of fools dirameranno i più fortunati La Crus e i meno fortunati Santa Sangre (oltre a fornire elementi a Massimo Volume e Afterhours).
La band si sciolse nel 1993, all’indomani del loro ultimo LP Towards the lighted town. La loro storia era cominciata nel 1988 e la loro discografia comprende un EP, Blues off get my shoulders (1989) e un altro album Religious folk (1992). Nel mezzo una strepitosa rilettura di Love will tear us apart dei Joy Division apparsa su una compilation di tributo edita dalla etichetta milanese Vox Pop.
Rivolo sonoro
In danese, svedese e norvegese Å è l’ultima lettera dell’alfabeto. Come parola in sé significa piccolo corso d’acqua. Ed è un rivolo sonoro quello del terzetto veronese composto da Stefano Roveda (violino, piano, kalimba, sinth, theremin, percussioni, chitarra, cetra, caos pad, contrabasso, voce), Andrea Faccioli (chitarra, cetra, kalimba, piano, percussioni, voce) e Paolo Marocchio (batteria, percussioni, kalimba, cello, voce, piano, flauto, effetti) che nel 2006 incidono un disco strumentale arrangiato dal musicista di origine basche Xabier Iriondo (Afterhours, A Short Apnea, Six Minute War Madness e tantissimi altri progetti) per la milanese Die Schachtel, etichetta specializzata nel recupero dei musicisti d’avanguardia.
Un lungo flusso sonoro che rapisce e trasporta in mille luoghi senza mai fermarsi da nessuna parte. I titoli non facilitano il compito: sono lo spezzettamento di un brano estrapolato da Lo strano caso del cane ucciso a mezzanotte di Mark Haddon.
L’avventura degli Å pare cominciare e finire con questo disco, ed è un vero peccato.
Dulli e pupe
Nuovo disco in uscita per gli Afghan Whigs e come sempre capita per le band che ho amato negli anni novanta mi assale il timore che questo improvviso ritorno possa deludermi. Nell’attesa godiamoci il passato.
Inseriti a forza nel carrozzone del grunge solo perché avevano cominciato a incidere con la SubPOP il gruppo di Greg Dulli non è mai riuscito ad emergere come avrebbe pure meritato per quel singolarissimo rock morboso e malsano iniettato di soul e di Motown. Testi intrisi di sesso, droga e morte e ritmiche lussureggianti concentrati soprattutto nei due album ‘Congregation’ (1992, splendida copertina, su fondo rosso un neonato bianco tra le braccia di una donna nera, evidente richiamo alle radici musicali del rock) e ‘Gentlemen’ (1993). Fu il video di Debonair tratto da quest’ultimo disco a farmeli conoscere e a convincermi a comprare il CD che sulle prime mi deluse: ben lontana era la loro musica dal grunge imperante di allora. Col tempo ho poi imparato ad amarli visceralmente come viscerale è sempre stato il cantato di Dulli diventato noto alle nostre latitudini anche per le collaborazioni con gli Afterhours di Manuel Agnelli e in tandem con Mark Lanegan nei Gutter Twins.