Nel solco ancora scorrerà sete che divora i sorsi

In attesa di  ascoltare l’ultima fatica IRA, che doveva essere presentata dal vivo nelle prossime settimane, vado a riascoltarmi il precedente DIE, anno 2015 di Jacopo Incani alias IOSONOUNCANE. Parsimonioso nelle sue uscite discografiche,  il primo lavoro, La macarena su Roma, è  datato 2010, DIE è  un concept sul dialogo a distanza di un uomo e una donna, lui in mare, lei in attesa a riva e la paura della morte. Un disco più  suonato e più  universale rispetto ai comizi, peraltro eccellenti, del disco di esordio.


 

Restare a casa può essere spettacolare

Molto ma molto molto prima di essere rimandato a casa in malo modo da Sanremo, facendo a seconda dei punti di vista la figura dello sprovveduto o del furbo di tre cotte per essersi presentato con l’impresentabile Castoldi, il buon Cristian Bugatti al secolo Bugo (de)cantava di quanto spettacolare fosse stare a casa.

Erano i primissimi anni zero e ricordo di averlo conosciuto allorché apriva un concerto alla FLOG di Firenze. Mi colpì per una bislacca canzone sugli spermatozoi e quel miscuglio di generi che testimoniava sotto sotto un cantautore non banale.


 

Mai dire Maier

L’ospedale pediatrico di Firenze è  per tutti il Maier. E questo per lo scorno del povero commendatore Giuseppe Meyer, gentiluomo di San Pietroburgo, che donò alla città l’ospedale fondato in memoria della moglie Anna, precocemente scomparsa. Nell’atto di donazione volle far mettere nero su bianco che il suo cognome era da pronunciare con la “e”. Invano.

27 gennaio 2020, cielo grigio come il manto autostradale che si srotola in direzione casa, il sollievo di una malattia sconfitta, l’autoradio che trasmette, è  il giorno della memoria, Interlude Op.21 di Gerald Finzi, compositore inglese, padre italiano, madre tedesca, origine ebraiche, morto nel 1956, a soli 55 anni, dopo essersi visto diagnosticare un linfoma di Hodgkin. Tema a lui caro, quello dell’infanzia corrotta dal mondo adulto.

La foresta non più vergine

Il bolso Bolsonaro, presidente brasiliano ha affermato che l’Amazzonia non è patrimonio dell’umanità ma solo del Brasile. Mi indigna l’incapacità di andare oltre il proprio ombelico e non capire che la Terra è di tutti. Quindi abbasso Bolsonaro e viva il meticciato musicale di Hermeto Pascoal, polistrumentista jazz soprannominato ‘o bruxo’, lo stregone.

Risonanze

“Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell’estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un’ottima invenzione.”

(Guida galattica per autostoppisti)

Leggo l’incipit del libro di Douglas Adams e un’interferenza spaziotemporale mi fa risuonare in testa quella razza umana che adora gli orologi e non conosce il tempo di ferrettiana memoria. Abbiate cura del vostro tempo.

Il gorgo nero

Originaria dello Iowa, la poco più che ventenne Patty Waters, registrò il suo disco di debutto per l’etichetta ESP-Disk grazie ai buoni uffici del sassofonista free-jazz Albert Ayler che ne intuì le doti ascoltandola in un club di New York.

Mentre la prima parte dell’album Patty Waters sings presenta brevi canzoni dolenti nel solco della tradizione jazzistica, la seconda facciata comprende un’unica lunga traccia in cui la voce si libera progressivamente facendosi grido, lamento, rantolo per poi perdersi nel gorgo nero del silenzio.

Quel vecchio trombone…

Ho scoperto Glenn Ferris a Prato, in una calda notte d’estate nella splendida cornice dell’ex fabbrica Campolmi . Trombonista jazz ormai prossimo al traguardo dei settant’anni ha un curriculum sterminato: ha suonato con jazzisti come Don Ellis, Steve Lacy, Billy Cobham, Archie Sheep, Paolo Fresu  ma anche per Frank Zappa, Stevie Wonder e i Duran Duran.

L’ultima uscita discografica che lo vede ancora in splendida forma con il suo Italian Quintet, composto da Mirco Mariottini, Giulio Stracciati, Franco Fabbrini e Paolo Corsi, si intitola Animal Love.

Un’altra fetta di torta

“And everybody wants another piece of the pie today,” she said / You gotta watch the ones who always keep their hands clean.

Avevo ascoltato The Big Heat di Stan Ridgway una ventina di anni fa consigliatomi da un caro amico spacciatore di cassettine: ero rimasto piuttosto interdetto. La vita e le orecchie cambiano e finisce che riascoltato per la prima volta dopo due decadi devo fare pubblica ammenda: Stan Ridgway, l’uomo cresciuto nel deserto della California, racconta bellissime storie e mescola musica sintetica con banjo, violini e violoncelli.

 

Il calore di cinque Soli

Tour de force degno del progressive più radicale – inevitabile l’accostamento con le produzioni del Rock In Opposition – Five Suns degli inglesi Guapo esce non a caso nel 2003 per la Cuneiform Records, etichetta impegnata da anni nella ristampa di tanti dischi tra i più avventurosi degli anni settanta.

All’epoca la line -up dei Guapo era formata da Daniel O’Sullivan (chitarra e tastiere), Matt Thompson (basso e chitarra), Dave Smith (batteria).

Sturm und Drang contro la matematica

Non pago della musica dei suoi Don Caballero il chitarrista Ian Williams varò gli ancora più radicali Storm&Stress. Band che deve la sua ragione sociale al movimento letterario tedesco dello Sturm und Drang e seguendone i principi si dissocia dalla precisione matematica del gruppo madre: tutto si frattura, si sbriciola, si confonde. Se ancora di matematica vogliamo parlare siamo in pieno calcolo combinatorio.