Lenin, Orietta e San Brandano

“E se è vero, com’è vero certamente, / Che c’è stato qualche caso precedente,
Stare dentro è molto meno divertente / Uno non vede mai dov’è / E allora dimmi tu che gusto c’è. / Ma a dorso di balena / Vedi dove vai, / Si fanno incontri che non speravi mai.”

Narra la Navigatio Sancti Brendani, scritta da un anonimo nel X secolo, le peripezie marinaresche di San Brandano, monaco irlandese vissuto quattro secoli addietro, e dei suoi compagni in cerca dell’isola dell’Eden. Non  manca l’incontro con la balena che i monaci scambiano per un’isola e sul cui dorso si fermano a celebrare la Pasqua.

Secondo una credenza popolare russa è  l’intero mondo a poggiare su tre balene. E a questo si riferiva Lenin quando parlava delle tre balene del bolscevismo: le otto ore di lavoro, la confisca delle proprietà terriere e una repubblica democratica. Quello stesso Lenin che un giorno portò come esempio virtuoso le lotte operaie di un piccolo paesino reggiano non incluso nelle mappe. Il paesino si chiamava Cavriago e avrebbe in seguito dato i natali a Orietta Berti.

Nel 1980 Orietta incide per Domenica In la canzone La balena e il cortocircuito spazio-temporale è completo.

L’intonarumori

Cerco di rompere il silenzio ovattato di questo sabato di coprifuoco con gli intonarumori di Luigi Russolo, pittore e musicista futurista che potrebbe giustamente reclamare i diritti di copyright su tanta musica industriale venuta nei decenni a seguire. Largo allora a crepitatori, gorgogliatori, rombatori, ronzatori, scoppiatori, sibilatori, stropicciatori e ululatori.

Degli infiniti eliocentrici mondi

Troppo spesso la mia smania di completista mi porta ad ascoltare intere discografie, con tanto di rarità e scarti più o meno evitabili. Ma di fronte alla messe sterminata di album realizzati da Sun Ra devo dichiararmi sconfitto in partenza e abbandonarmi all’ascolto pescando qua e là  che in fondo ci si azzecca sempre: che si caschi nel jazz più  convenzionale, nel free-jazz o in contesti più sperimentali si casca sempre bene perché  sotto gli abiti spazial-orientaleggianti di quel gran mattacchione, che ha sostenuto per una vita di essere andato su Saturno e con una sicumera tale da finire nel ’71 a tenere un corso di filosofia a Berkeley, si nascondeva un musicista geniale.

Le meraviglie del paese di Alice

La pianista Alice McLeod ha già  un matrimonio fallito alle spalle e una figlia da tirare su da sola quando conosce John Coltrane. Nell’arco di nemmeno cinque anni i due si sposeranno, avranno tre figli, lei lo accompagnerà  al piano quando nel ’66 McCoy Tyner romperà il sodalizio con Trane non condividendo una musica in territori sempre più free.

Quando un cancro al fegato stroncherà nel luglio del ’67 il grande sassofonista Alice saprà comunque portare avanti la sua ricerca musicale, caratterizzata anche dall’impiego, inusuale in ambito jazz, dell’arpa.

Un ottimo esempio è  l’album Ptah, the El Daoud, in compagnia di Pharoah Sanders, Joe Henderson, Ron Carter e Ben Riley.

I piccoli diavoli di Minneapolis

Le riprese di Down by Law (per noi del consunto stivale Daunbailò) avvicinarono quei tre impossibili personaggi che rispondono ai nomi, rigorosamente in ordine alfabetico di Roberto Benigni, John Lurie e Tom Waits. L’anedottica attorno alla pellicola di Jarmusch è  sconfinata e con risvolti, giocoforza visti i protagonisti, grotteschi e le amicizie maturate sincere. Tanto che quando due anni dopo Benigni realizzerà  Il piccolo diavolo non solo  riserverà una parte nel cast a John ma affiderà al fratello Evan Lurie, pianista e suo compagno nei Lounge Lizards. E per completare il cerchio ci sarà alla chitarra Marc Ribot, collaboratore storico di Tom Waits. Una colonna sonora da riscoprire.

L’uomo che baciava le nuvole

Dici Roland Garros e pensi al tennis e mai mi sarei aspettato che il Roland Garros cui è  dedicato il prestigioso torneo di Parigi è stato un pioniere dell’aeronautica, morto durante il primo conflitto mondiale.

Il suo diario, edito con il titolo L’uomo che baciava le nuvole è  più avvincente di un romanzo e ripercorre le tappe incoscienti ed eroiche dei primi voli. Io, avrei preferito come titolo Nuvole e Blériot come la canzone di Giorgio Canali dedicata a quel pioniere aviere primo trasvolatore della Manica e in seguito costruttore dei velivoli pilotati da Garros per le sue imprese.

Nel diario traspare a ogni pagina il senso di provvisorietà della vita e la febbrile ricerca di superare i limiti, che siano fisici o meccanici, d’altitudine o di distanza, come la traversata del Mediterraneo, dalla Provenza a Tunisi, a bordo di aeromobili dispettosi e più incerti delle ali di cera di Icaro.

 

 

Re senza corona

God save strawberry jam and all the different varieties
Preserving the old ways from being abused”

In genere ci si ricorda dei Kinks solo per il cattivissimo riff di You really got Me, decida il lettore se classificarlo come hard, heavy o protometal. Un riff vecchio di oltre mezzo secolo, il singolo uscì infatti nell’agosto del ’64, che conquistò la vetta delle classifiche britanniche e che sarebbe bastato, ad altre band, a giustificarne un’intera carriera.

In realtà, per la band di Ray Davies, si trattò di un grosso equivoco. La casa discograficala Pye voleva dal gruppo a tutti i costi una hit ma il talento dei Kinks stava altrove, nella capacità di radiografare impietosamente la società britannica. E il loro capolavoro in tal senso arrivò nel ’68 con il concept album The Village Green Preservation Society, una collezione di gemme pop che attingevano al repertorio del vaudeville, del music hall, delle bande militari. Disco che, inutile dirlo, fu un fiasco dal punto di vista commerciale e che a maggior ragione è bene risarcire con un ascolto.

E

Corona ovvero un saggio di isolazionismo

Esaurita l’esperienza shoegaze dei Loop, Robert Hampson e Scott Dawson danno vita ai Main la cui ricerca sonora spinge ancora di più sull’acceleratore della sperimentazione verso territori musicali sempre più astratti e oscuri. Esempio di questa musica isolazionista l’EP Corona, licenziato nel 1995, secondo capitolo di sei EP poi raccolti nel doppio CD Hertz.

Tornerà un altro inverno

L’inverno svapora ma tornerà puntuale come kepleriana abitudine. Poi verrà l’estate e sarà difficile odiarla dopo l’imposta reclusione primaverile. Ma non verrà meno l’amore incondizionato per il brano di Bruno Martino che qui rispolvero in una versione di 17 minuti di Chet Baker, il grande trombettista americano che recluso, nel carcere di Lucca, lo fu davvero: ben sedici mesi dopo l’arresto in un autogrill avvenuto nel 1960 proprio l’anno in cui Martino pubblicava la sua hit.

Pare che i ragazzini andassero sotto le mura del penitenziario di San Giorgio per sentire la sua tromba. Chissà se già allora suonasse l’Estate.

 

 

Quest’uomo era un fenomeno

“tu suonavi Bill Evans dicendo quest’uomo è un fenomeno”

Così  canta Fabio Concato in Gigi, brano dedicato al padre Luigi, anch’egli musicista jazz.  E fenomeno era il buon Bill, unico bianco imposto a forza da Miles Davis per le registrazioni di Kind of Blue, pianista eccezionale quanto la sua fragilità di uomo tormentato alla ricerca di un pezzo di pace come la superba improvvisazione registrata pochi mesi prima, nel dicembre del ’58 e che, su richiesta di Miles,

diventerà l’introduzione di Flamenco Sketches.