Il vessatore gimnopedista

Quando alla sua morte aprirono finalmente la stanza tenuta sempre chiusa a chiave del suo piccolo appartamento di due camere chiamata scherzosamente l’armadio trovarono vestiti tutti uguali e un gran numero di ombrelli. Fu l’ultima stravaganza di Erik Satie. Era il 1925.
Soltanto l’anno prima aveva partecipato al film dadaista di Renè Clair L’entr’acte dove in compagnia di Francis Picabia carica un cannone contro Parigi mentre Marcel Duchamp e Man Ray giocano a scacchi.
Per certi versi quel gesto ben rappresentava la carriera antiaccademica del grande gimnopedista di Honfleur, quello che già  nel lontano 1893 aveva progettato le Vexations, brevi partiture da ripetere per 840 volte e da suonare a se stessi o quello che aveva inserito nelle musiche per il balletto Parade, soggetto di Jean Cocteau, scene e costumi di Pablo Picasso, i suoni di una macchina da scrivere, una rivoltella, una ruota della lotteria, una sirena da nave e una turbina.

Le cose che piacciono a me

Raindrops on roses and whiskers on kittens / Bright copper kettles and warm woolen mittens / Brown paper packages tied up with strings / These are a few of my favorite things”
Le cose che piacciono a me stanno tra il miele di Julie Andrews e il fiele di Lars von Trier di Dancer in the dark, dove la protagonista e al contempo antagonista del regista danese c’era Bjork.
“Cream colored ponies and crisp apple strudels / Doorbells and sleigh bells and schnitzel with noodles / Wild geese that fly with the moon on their wings / These are a few of my favorite things!”
Tra quei due poli ci sono le decine di versioni di John Coltrane dilatò in lungo e in largo, ogni volta incanalando le note per nuovi meandri, la canzone composta per il musical di The sound of music trasposto poi sul grande schermo da Robert Wise nel 1965.
“Girls in white dresses with blue satin sashes / Snowflakes that stay on my nose and eye lashes / Silver white winters that melt into spring / These are a few of my favorite things!”

“When the dog bites, when the bee stings / When I’m feeling sad, / I simply remember / my favorite things / and then I don’t feel so bad!”

Con le luci spente è meno pericoloso?

Mi sono imbattuto in una cover di Smells Like Teen Spirit dei Nirvava eseguita da Robert Glasper. Robert Glasper suona il piano e pubblica per l’etichetta Blue Note, nome quasi sinonimo di jazz. Scorrono le dita sui tasti del piano, mia figlia si addormenta, a me viene voglia di pogare.

Incuriosito, ho ascoltato altre cose di Glasper, potabilissime ma nessuna che mi abbia scaldato il cuore se si eccettua un’altra cover, stavolta dei Radiohead,  Packt Like Sardines in a Crushd Tin Box.

La mia riflessione però non va all’onesto Glasper e al suo jazz pieno di contaminazioni, ma a come, pur depurata di tutto, il brano simbolo della band di Seattle, il capolavoro nato da un tragico equivoco, Cobain ignorava che lo spirito adolescenziale, il Teen Spirit, era un banale deodorante femminile, conservi tutta la sua magmatica forza.

Considera l’aragosta

Rubo il titolo alla omonima raccolta di saggi di David Foster Wallace per scrivere dell’aragosta più  famosa della new wave, la Rock Lobster dei B52’s da Athens, Georgia culla dei più famosi R.E.M. e degli infinitamente meno Pylon.

Parlare dei B52’s vuol dire per me fare pubblica ammenda per non averli mai considerati né  carne né pesce. E invece il loro sound è  prelibato come il miglior crostaceo: solare, ironico, geniale nel recupero della miglior tradizione dei gruppi vocali degli anni sessanta e della surf music.

Il cugino De Andrade

“Una lanterna d’albergo. Il mare pieno zeppo di conchiglie.[..] L’automobile tractracca per strada. / Il treno va guardando il Brasile. / Il Brasile è una Repubblica Federale piena di alberi e di gente che dice addio. / Poi tutti muoiono.”

Manifesto antropofago, 1928. Oswald De Andrade definisce l’arte brasiliana cannibale, capace di fagocitare le tante culture da cui ha preso vita il Brasile. Ha già scritto le Memorie sentimentali di Giovanni Miramare e  da lì a poco realizzerà il Serafim Ponte Grande un vero e proprio puzzle dove il lettore deve ricostruire il romanzo (?) attraverso la discontinuità dei tanti frammenti che formano il libro.

“Il paesaggio di questa capitale putrisce. Mi presento al lettore. Pelotarista. Personaggio dietro una vetrata. Impermeabile e galoches. Certi militari hanno cambiato la mia vita. Gloria agli uomini di fede! Là fuori, quando asciugherà la pioggia, ci sarà il sole.”

Serafim attraversa la rivoluzione paulista del 1924 e tiene un cannone nel cortile. Invito che Oswald De Andrade continuerà a ripetere ai proletari brasiliani dalle pagine del giornale O homen livre negli anni precedenti alla rivoluzione (ancora un’altra!) del 1937. Personaggio vitalissimo, impegnato e anticonformista De Andrade, così presentato da Giuseppe Ungaretti nella prefazione alle Memorie sentimentali:

“Non so quale fosse la sposa che aveva impalmato in quei giorni, settima, undicesima oppure ventunesima. Non ebbero più donne Abramo, né Matusalemme né Noè messi insieme, che devono averne godute moltitudini per popolare o ripopolare questo pianetaccio, a differenza del povero Adamo che combinò tutto con la sola povera Eva, guai o miracoli che fossero, dipende dai pareri. Tra la moglie bambina e un quadro recente di Picasso che si baloccava tra le braccia, raccontava storie dell’altro mondo, un po’ come fosse il Padre Eterno o il suo rivale da girarrosto. Aveva vissuto a Parigi, nababbo, non rastaqueroe vi aveva scoperto tutto, annusato tutte le puzze e tutti gli olezzi, fino al collo ficcato in tutte le trappole, uscendone indenne e bobo da bravo illusionista. Non aveva riportato in Brasile, sposa, come succedeva allora al sudamericano pingue di moneta quanto di corpo, la femmina che l’aveva adescato chissà in quale lupanare di Lutezia, carnosa, di connotati correggeschi già stuzzicante di libidine dal fugace adocchio.”

Fabrizio De André omaggió il suo quasi omonimo paulista nel disco Le Nuvole, album ricchissimo di spunti , sin dal titolo preso in prestito da Aristofane. Ne La domenica delle salme c’è di tutto: c’è come detto De Andrade, c’è la caduta del muro di Berlino, ci sono le BR di Renato Curcio e la gamba amputata di Piero Maroncelli (compagno di Silvio Pellico al famigerato Spielberg). Una canzone che non esaurisce mai la sua carica di rimandi e offre sempre nuove possibili chiavi di lettura.

La geografia è destino

“So che la geografia è destino, la storia non si fa, signorile, a tavolino” (Giovanni Lindo Ferretti da Orfani e vedove, P.G.R.)

Il Kurdistan è una nazione che non ha confini che la separano da altri stati ma viene attraversata, come da devastanti cicatrici, da quelli di Siria, Turchia, Iran e Iraq che si sono visti assegnare dalla storia, mai galantuoma, fette mal ritagliate di quel vasto territorio in cui i curdi non sono padroni della loro casa ma ospiti mal sopportati.

Da profanissimo di musica tradizionale mi sono imbattuto nell’ascolto di un intenso concerto tenuto a Teheran dal musicista iraniano Kayhan Kalhor, ma di origine curda, Khayan Kalhor in duo con il turco Erdal Erzincan. Il primo suona il tradizionale kamancheh, il secondo il baglama. La musica persiana e turca come leva per abbattere i confini.

Colori meno noti (Caleidoscopi #3)

Un gran bel disco dai suoni garage e psichedelici per il terzo, e infinitamente meno noto, caleidoscopio, dopo quelli americani e inglesi. I Kaleidoscope di Colours provenivano dalla Repubblica Dominicana e comprendevano elementi da Porto Rico e Spagna.  Furono lanciati sul mercato messicano e quindi ci si riferisce a loro come Kaleidoscope (Mex).

 

Boltzmann e la psichedelia (Caleidoscopi #2)

A Berkeley c’è  la sede della University of California, e lì  nel ribollire degli anni sessanta si formarono i Kaleidoscope di David Lindley, Fenrus “Maxwell Buda” Epp, Chris Darrow, Solomon Feldthouse e  John Vidican.

Il loro folk psichedelico attinge a piene mani dalla tradizione mediorientale grazie anche all’uso di strumenti tipici in cui eccelle il buon Lindley. Scherzi delle omonimie a Berkeley ha lavorato anche il fisico e scrittore David Lindley, autore in particolare delle biografie di Lord Kelvin e di Ludwig Boltzmann. E chissà  cosa penserebbe dal punto di vista antropico della musica dei Kaleidoscope il Boltzmann, che in California ci arrivò nel 1899 e di quella visita ha lasciato un breve e interessantissimo diario, pubblicato come Viaggio di un professore tedesco all’Eldorado: aumenta il disordine oppure no?.

Un tuffo a ieri (Caleidoscopi #1)

La tenue Let the world wash in degli I Luv Wight è,  o meglio doveva essere, l’inno del festival di Wight del 1970. Nelle intenzioni degli organizzatori avrebbe inframmezzato le esibizioni dei vari gruppi nei cinque giorni della manifestazione fino al disvelamento finale dell’identità dei fantomatici autori: i Fairfield Parlour di Peter Daltrey ed Eddie Pumer. Potenzialmente una bella mossa per risollevare le sorti di un gruppo perseguitato da una sfortuna sfacciata. Ma neppure quella volta le cose non girarono per il verso giusto e il singolo rimase in un cassetto.

Da quel punto in poi anche la storia dei Fairfield Parlour fu destinata a chiudersi: con un album doppio pronto e nessuna casa discografica disposto a pubblicarlo, nel 1972, i nostri dichiararono la resa.
Una resa arrivata per frustrazione dopo che già in precedenza, quando si chiamavano Kaleidoscope, erano stati costretti a lasciare l’etichetta Fontana non capace di promuoverli come avrebbero meritato: i loro due unici LP, Tangerine Dream e Faintly Blowing sono, come da inflazionata ragione sociale del gruppo, due splendidi esempi di luccicante psichedelia british.

La new wave compatta e minimale

Difficile emergere artisticamente a Tel Aviv. Così tre ragazzi israeliani muovono verso Amsterdam e riescono a trovare asilo presso l’etichetta belga Crammed che produce, è  il 1981, il loro omonimo esordio. Il gruppo, composto dalla bassista Malka Spigel, il cantante Samy Birnbach e il chitarrista e tastierista Berry Sakharof si distingue nel calderone new wave / post-punk per il sapore mediorientale dei suoni. Ballate da fermi con i Minimal Compact.