Branchi e branchie

Disco notturno e acquatico, tra i miei preferiti del 2023, questo Love in Exile composto dalla cantante di lingua urdu Arooj Aftab, dal pianista jazz Vijay Iyer e dal polistrumentista Shahzad Ismaily.

La Aftab aveva definito il trio all’opera, nello studio di registrazione di New York, come “a school of fish” ovvero un banco di pesci. Nei siti italici è purtroppo divenuto un branco di pesci! E tra banco e branco meglio sarebbe stata una più maccheronica e genuina “scuola di pesci” che tanto i banchi, a scuola, non mancano.

 

 

D’umani umami

Uno dei miei dischi preferiti dell’anno. La rodata coppia Blixa Bargeld e Teho Teardo trova con Christian & Mauro la giusta quadra. Non so se il titolo dell’album rappresenti una presa di distanza dalle loro esperienze musicali ma lo trovo il lavoro più coeso ed omogeneo del duo. Non che i precedenti album non fossero di assoluto valore ma qui archi, elettronica e parole, in italiano, inglese e tedesco si incastrano perfettamente tra riflessioni su quella materia oscura che è il tempo e la morte senza rinunciare all’ironia, come il riferimento alla teoria del Big Cake, l’universo che lievita, citato in Dear Carlo (Rovelli) qui emerito fisico e pasticciere.

 

 

Una cospirazione lunga mezzo secolo

Invidio chi ha sentito pochi dischi e riesce a sorprendersi ad ogni nuovo ascolto. Oramai mi capita di rado ma capita. Qualche notte fa, mentre ero al volante, la mia adorata Controradio mi ha fatto sobbalzare: con mezzo secolo di ritardo ho fatto conoscenza di Jeanne Lee, cantante jazz, compositrice e poetessa. Il suo primo album solista, Conspiracy, viene registrato nel 1974. Affiancata dal marito Gunter Hampel, vibrafonista tedesco, Sam Rivers al sax, Jack Gregg al contrabbasso, Perry Robinson al clarinetto, Mark Whitecage al clarinetto alto, Allan Praskin al clarinetto, Marty Cook al trombone e Steve McCall alla batteria, il disco travalica il genere jazz e si dispiega in un caleidoscopio di suoni dove la voce multiforme di Jeanne Lee si erge ad assoluta protagonista. Da ascoltare!

Il gufo e l’orso

Il gufo cieco, nomignolo affibbiato da John Fahey al miope Alan Wilson, é polistrumentista e profondo studioso del blues. Dopo aver partecipato alle registrazioni di Great San Bernardino Birthday Party di Fahey, fonda, con l’orso Bob Hite, corpulento fanatico di vecchi e polverosi vinili, i Canned Heat. Partecipano ai leggendari festival di Monterey e Woodstock e nel mezzo trovano anche l’hit da classifica con On the road again, ennesima rilettura di un brano degli anni venti e precoce testamento di Wilson, che muore nel ’70, a soli 27 anni.

I netturbini del surf

L’esercito del surf non resse l’urto con l’invasione britannica capitanata dai Beatles: all’epoca ci furono band americane che arrivarono a spacciarsi per inglesi. I Trashmen, da Minneapolis, che pure avevano piazzato al numero 4 di Billboard la loro Surfin’ Bird si videro  ben presto costretti ad accantonare un album già pronto e confezionato e a sciogliersi.

La loro Surfin’Bird, nata dal rimaneggiamento di due brani del gruppo doo-wop dei Rivingtons, ritornerà ciclicamente alla ribalta tanto essere usata da Kubrick in Full Metal Jacket e diventare tormentone spassosissimo di una puntata de I Griffin.

Sliding doors

Il 22 maggio del 71 un incredibile terzetto registra una breve performance per il programma televisivo Beat Club . I tre sono Florian Schneider, Michael Rother e Klaus Dinger ovvero i Kraftwerk in quei pochi mesi di interregno durante il quale Ralf Hutter ha lasciato il gruppo.

Quell’unica registrazione per l’emittente tedesca WDR, miniera d’oro per gli amanti del krautrock, spalanca mille suggestioni sul come sarebbe stato se da lì a poco Rother e Dinger non se ne fossero andati per registrare il primo capolavoro a nome Neu! e d’altra parte se  sarebbe stata così drastica l’accelerata elettronica di Schneider che ritroverà Hutter ma dovrà  fare i conti con l’assenza di strumenti umani.

Organizzazione per la realizzazione di concetti musicali comuni

Prima che Ralf Hütter e Florian Schneider lasciassero i compagni di università Basil Hammoudi, Butch Hauf e Alfred Mönicks nell’anonimato musicale per dare vita in tandem ai Kraftwerk, ebbero tempo di registrare, con la supervisione dell’onnipresente Conny Plank, l’album Tone Float accreditato alla Organisation zur Verwirklichung gemeinsamer Musikkonzepte dalla ragione sociale più lunga del tempo in cui restarono gruppo musicale. Ancora lontani dall’elettronica autostradale e robotica a cui ci abitueranno in seguito i due qui la fanno da padroni gli strumenti, a cominciare dal flauto traverso di Florian, per questo disco di torrido kraut.

Malia d’Amalia

“Vem saber se o mar terá razão / Vem cá ver bailar meu coração”

Luogo comune lusitano voleva il fado, con Fatima e il futebol, uno dei tre  piedi che mantenevano in equilibrio la dittatura di Salazar. Ed effettivamente in quegli anni bui si tentò di irregimentare il genere musicale popolare per eccellenza.  Ma pur tirato fuori dallo scuro delle osterie ai riflettori delle Eurovisioni, il fado, che si vuole derivato dal vocabolo latino fatum, è rimasto lo specchio del dolente animo portoghese.

Canção do mar, in origine intitolato Solidão, interpretato dalla reina do fado, Amàlia Rodrigues, condensa in due minuti tutte le caratteristiche del genere: “vieni a vedere se avrà la meglio il mare, vieni qui a vedere il mio cuore in sua balia” canta la donna all’amato.

Fu Turismo

Nel 2009, anno del centenario del Manifesto del Futurismo, fu portato in scena un divertentissimo spettacolo capitanato da Elio, senza le Storie Tese, con un piccolo manipolo di musicisti che univa recuperi d’antan e pezzi composti per l’occasione. 

La magnifica spedizione fu… turista da Milano a Marechiare per uccidere il chiaro di luna, questo il titolo, inscenava un immaginario viaggio di Marinetti e i suoi accoliti da Milano a Napoli.
Peccato che, a parte qualche breve stralcio presente in rete, non sia mai stato documentato su disco neppure dal vivo.
In scaletta compariva più di un pezzo di Rodolfo De Angelis che prima di diventare cantore del fascismo fu uno dei primi animatori del teatro futurista a Napoli, suoi anche tre volumetti dedicati alle vicende dell’epoca, Caffè concerto: memorie d’un canzonettista, Noi Futuristi e Storia del Café-chantant. Lontano dalle provocazioni rumoriste di un Russolo, De Angelis, spurgato dei peana al regime, fu salace autore di irresistibili canzonette.

Il calderone psichedelico

Cauldron dei Fifty Foot Hose è, come promette il titolo del disco, un calderone in cui la psichedelia di San Francisco è annegata in un brodo di effetti elettronici ricavati dagli strumenti fatti in casa da Louis Cork Marcheschi che aveva già esordito nel 1966 in solitaria sulla brevissima distanza con il singolo, anche questo dal titolo programmatico, Bad Trip. Con lui, due anni dopo a realizzare Cauldron, ci sono i coniugi Nancy e David Blossom, Kim Kimsey e Larry Evans. Un disco che suona ancora oggi coraggioso nell’imboccare strade altre dagli stilemi abusati di tanti gruppi usciti dalla Bay Area.