Il terzo sesso

Contacto Espacial con el Tercer Sexo è una girandola di suoni e campionamenti che sono molto più di una stramberia degli anni ’90. Il duo di Camarillo, California, battezzatosi Sukia (dal nome probabilmente di un fumetto erotico di casa nostra) e affiancati dai Dust Brothers, geniali produttori – c’erano loro dietro la consolle di Odelay, uno dei maggiori successi di Beck – sfornano un album che è un divertentissimo miscuglio di exotica, lounge e trip-hop: una maquina del sueno, come cantano in The Dream Machine.

Patchwork psichedelico

Questo è un deliberato atto di taglia e cuci fatto su commissione. Degli stessi autori, i Grateful Dead e del loro pezzo più celebre Dark Star, qui passati all’esame autoptico, poi squartati e infine riassemblati da John Oswold, novello dr. Frankenstein.
Dark Star nacque originariamente come singolo e come tale aveva una durata abbondantemente sotto i tre minuti. Crebbe a dismisura nei concerti, come testimoniato dagli indimenticabili, ma neppure i più lunghi, 23 minuti del Live Dead.
Nel ’93 Jerry Garcia e soci consegnarono ad Oswold cento versioni da un campionario venticinquennale di concerti che furono distillate e condensate in quasi due ore di psichedelia ultraconcentrata.

Spazio subaracnoideo

All’interno dello spazio subaracnoideo, situato tra l’aracnoide e la pia madre, scorre il liquor o liquido cefalo-rachidiano. Un liquido limpido che è anche detto acqua di roccia e regola la perfusione sanguigna in modo che avvenga a pressione costante.

E’ in queste zone del cervello che si situa la musica di Mason Jones, da San Francisco, e del suo progetto Subarachnoid Space. Le lunghe jam pischedeliche che fecero la fortuna dei gruppi della Bay Area vengono aggiornate ai tempi del noise. Almost Invisible del 1997 è la loro prova più riuscita.

Il rumore del fiore di carta

Per un periodo giravano spesso in rete vignette spassose che ironizzavano sull’esistenza o meno del Molise. E se in tanti non sanno davvero dove si trovi il Molise, figuriamoci come deve essere suonare post-rock in quel di Campobasso, patria de Il Rumore Del Fiore Di Carta, band dal nome bellissimo che ha all’attivo tre album autoprodotti tra il 2004 e il 2011 che vale la pena riscoprire.

Cartoni suonati

“Un guaio dei cartoni oggi è che hanno così tanto dialogo che la musica non significa molto”

Carl Stalling accompagnava al piano i film muti quando fu notato durante uno spettacolo a Kansas City da Walt Disney. A quell’incontro seguì la proposta di sonorizzare i suoi cartoons. La prima perla del compositore fu nel 1929 ‘The skeleton dance’ splendido cortometraggio della serie delle Silly SymphoniesNel 1936 passò ai rivali della Warner Bros. per i quali musicò per oltre un ventennio i Looney Tunes.
Difficile se non impossibile immaginare tutti quei cartoons senza la folle centrifuga musicale di Stalling e la sua orchestra capace di saltare repentinamente da un genere all’altro inserendo ogni tipo possibile di rumore.

Io sto con gli ippopotami

Tre ippopotami spalancano le fauci verso il sole. Uno straniante minuto e mezzo di algida elettronica fa da preludio a un suono caldo, ottimo per difendersi dal gelo di Bruxelles e dintorni. Sospeso tra jazz-rock, progressive e psichedelia, Viva Boma, è il secondo LP dei belgi Cos e vede la presenza del talento locale Mark Hollander (già con Aksak Maboul, Art Bears, Honeymoon Killers e creatore della benemerita etichetta discografica Crammed Discs). A impreziosire il tutto la voce sognante di Pascale Son.

 

 

Tacchi a molla

“Jack dai tacchi a molla” è un personaggio bizzarro e diabolico della Londra vittoriana. Capace di saltare un muretto senza prendere la rincorsa. Spring Heel Jack è un progetto musicale capace di saltare i rigidi steccati dei generi.
Nati come duo di drum n’ bass hanno via via incorporato elementi jazzistici reclutando il meglio dell’avanguardia degli anni ’70 come l’olandese Han Bennink o collaboratori dei Soft Machine come Evan Parker e Paul Rutherford senza dimenticare l’apporto di J Spaceman, al secolo Jason Pierce, chitarrista di Spacemen 3 e Spiritualized. Merito degli Spring Heel Jack la sapienza nel riuscire ad amalgamare il tutto con un’elettronica calda capace di non rendere mai ostico l’impasto sonoro che, ancorché complesso, risulta sempre piacevole e interessante.

Areare i locali

Purtroppo chi scrive difficilmente si appassiona alle ultime uscite discografiche. Ben lieto che ogni tanto capitino gelide sferzate in faccia come i dischi degli Algiers. La musica della band di Atlanta è stata definita gospel-punk e l’etichetta mi piace: canzone di protesta, bellissima voce, tritatutto sonoro, new e no wave, elettronica, blues e quant’altro volete.

Splendido il video di Irony. Utility. Pretext, dal disco d’esordio nel 2015, girato in Bulgaria nell’abbandonato palazzo di Buzhludza, costruito negli anni ottanta per celebrare il governo comunista in quella impervia località dove, nel 1891, si consumò una decisiva battaglia contro i turchi.

La mal amata mela

“Portatemi gli affamati, gli stanchi, i poveri e gli piscerò addosso. Questo è ciò che la Statua dell’Intolleranza dice. Le vostre masse di poveri accalcati picchiamole a sangue, facciamola finita e buttiamoli nel boulevard”
Questo disco, pubblicato dalla Sire Records nel 1989, è per il rock quello che Manhattan di Woody Allen è per il cinema. La sentita dichiarazione d’amore per la Grande Mela da parte di Lou Reed: amore per le sue storie da marciapiede, per le strade sporche e malfamate, i criminali per indole e i delinquenti per necessità. Dove anche la storia dei più famosi amanti shakesperiani si trasfigura in un regolamento di conti tra ispanici.

L’omino dei sogni

Il sandman è,  nel folklore del Nord Europa, l’omino dei sogni, quella creatura che getta la sabbia negli occhi per portare il sonno. E Mark Sandman, rispettando il suo nome, ha portato sogni fumosi e caliginosi per tutta la  carriera e finché suo cuore gli ha retto. Poi la sera del 3 luglio del ’99 si è fermato, tra una canzone e l’altra sul palco di Palestrina mentre si esibiva con suoi Morphine. Il trio di Boston (con Sandman che suonava un basso con due sole corde, Jarome Dupree prima e Billy Conway poi alla batteria e Dana Colley al sax baritono) aveva saputo creare una splendida miscela di blues, rock e jazz caratterizzata dall’assenza della onnipresente chitarra.