Apparecchi rotti e mezzi rotti

L’album Sinistri fu la terza uscita discografica degli Starfuckers di Manuel Giannini, Alessandro Bocci e Roberto Bertacchini dopo l’esordio di Metallic Diseases e il miniLP Brodo di cagne strategico. Il noise-rock delle prime uscite viene ulteriormente fratturato e decomposto, pulviscoli di elettronica e field recordings rendono la loro musica sempre più nebulosa e astratta ma ancora capace assestare pugni nello stomaco con un pezzo come Ordine pubblico.

Il picchiatore

Durante le registrazioni di Electric Ladyland Jimi Hendrix chiamò dietro rullanti e tamburi per un paio di brani il batterista degli Electric Flag, il corpulento Buddy Miles, perché secondo lui “picchiava a morte la batteria”. Più tardi, arruolato anche Billy Cox al basso, Jimi diede vita alla Band of Gypsys, formando così un trio di soli neri. Breve esperienza che sfociò in un live tratto da quattro concerti tenuti a New York nel periodo di capodanno del 1970.
Per Buddy Miles, che aveva già alle spalle l’esperienza blues psichedelica degli Electric Flag e un paio di dischi solisti, Expressway to your skull ed Electric church, la carriera continuò tra collaborazioni prestigiose con Santana e John McLaughlin (un disco live registrato con il primo dentro il cratere di un vulcano alle isole Hawaii), disavventure giudiziarie e problemi con la droga.
Ne uscì fuori solo negli anni ’80 quando ottenne anche un grosso successo cantando un pezzo di Marvin Gaye per una pubblicità di uvette californiane!

Il litigio con Ligeti

“Meraviglioso è il modo in cui la mia musica è utilizzata nel film, lo è meno che nessuno mi abbia mai consultato e che non sia stato pagato. Ammiro l’arte di Kubrick ma non il suo egoismo e il suo disprezzo per la gente.”

Il capolavoro di Stanley Kubrick, 2001 Odissea nello spazio, compie mezzo secolo. Inimmaginabile pensare alle sequenze del film senza l’azzeccatissima colonna sonora dal motivo ricorrente di Also sprach Zarathustra di  Richard Strauss ai temi spaziali di Gyorgy Ligeti, AtmospheresLux Aeterna,
Adventures, Kyrie. Ma proprio l’uso spregiudicato delle sue musiche fece risentire il compositore ungherese che portò il regista in tribunale in particolare per avere pesantemente rielaborato Adventures.

Nonostante questo inizio burrascoso Kubrick continuò ad usare anche in seguito le musiche di Ligeti per ShiningEyes Wide Shut.

Atti osceni

Nel 1988 Steve Albini, messa da parte l’esperienza dei Big Black arruola la sezione ritmica dei seminali Scratch Acid,  il batterista Rey Washam e il bassista David Sims e dà vita ai Rapeman: un EP intitolato Budd e un LP, Two Nuns and a Pack Mule, entrambi licenziati dalla Touch & Go, poi lo sciogliete le righe prima di varare gli altrettanto formidabili Shellac.

Spietato negli effetti chitarristici, osceno nei testi, esemplare l’attacco ai Sonic Youth, colpevoli agli occhi del nostro di essersi venduti alla major discografiche con Kim Gordon’s painties, Albini ridisegna i confini del noise e dell’hardcore. C’è già tutto: i Nirvana (che vedranno proprio Albini al mixer per l’album In Utero), i Jesus Lizard, gli Slint verranno solo in seguito.

Fumo sull’acqua

« We all came out to Montreux on the Lake Geneva shoreline To make records with a mobile – We didn’t have much time Frank Zappa & the Mothers were at the best place around But some stupid with a flare gun burned the place to the ground Smoke on the water, fire in the sky »

In questa maniera i Deep Purple nel 1972 mettevano in musica l’episodio, realmente accaduto pochi mesi prima, da cui presero spunto per la celeberrima Smoke on the Water. In quello stesso 1972 si esibirono a Montreux, località svizzera nota per il suo festival di jazz, il terzetto composto dal batterista Bernard Lubat (già con Michel Portal), il tastierista Eddy Louiss (già con Michel Petrucciani) e il chitarrista Claude Engel (fondatore dei Magma). La splendida registrazione di quel concerto, un jazz-rock spruzzato di funky è purtroppo l’unica prova documentata del trio francese: un vero peccato.

I quattro Caballeros

Don Caballero, da Pittsburgh. Un batterista soprannominato Mr. Octopus, al secolo Damon Che Fitzgerald, e corde arroventate di basso e chitarre, in numero di due. Almeno tre dischi di livello eccelso come ‘For respect’ (1993), ‘2’ (1995) e ‘What burns bever returns’ (1998). Math-rock, se vi piacciono le etichette.

Oggi forse sì

L’aggettivo eclettico sta addirittura stretto a un musicista come Czeslaw Niemen: polacco, classe 1939, ha spaziato dal pop alla musica psichedelica, dal jazz-rock alla musica elettronica. Nel 1970 partecipò addirittura al Cantagiro, il popolare festival itinerante nostrano con Oggi forse no. Ovviamente al pop senza nerbo preferisco i due ottimi dischi sperimentali registrati nel 1973 insieme ai musicisti del gruppo SBB e intitolati semplicemente Volume 1 e Volume 2 (riuniti poi nell’antologico Marionetki). Ma non sono gli unici titoli della discografia del nostro a meritare un ascolto attento.

Sporchi di terra

Gli Earth di Dylan Carlson nascono a Olympia, piccola cittadina a 60 miglia da Seattle, capitale dello stato di Washington. Esordiscono per la SubPop  con l’EP Extra-Capsular Extraction nel ’91 e realizzano il loro capolavoro con l’album Earth 2 nel ’93 disco di pesantissimi droni reiterati all’infinito. Negli anni la musica di Carlson cambia registro e si colora di psichedelia, mi pare appropriata l’etichetta di southern-gothic appiccicatagli da alcuni recensori. Ottimo esempio di questa fase l’album del 2005 Hex: or Printing in the Infernal Method.

Bandiera rosa

1977. I Pink Floyd non ci sono più da un pezzo. Voi direte che nel ’77 hanno pubblicato per l’etichetta Harvest Animals e due anni dopo anche The Wall, ma quelle sono solo le nevrosi in musica di Roger Waters. Sono anche grandi dischi ma dischi di musicisti in gabbia, i ruggiti innocui di bestie allo zoo.
Fuori invece accade altro, esplodono i disordini non solo musicali del punk.
Ogni casa discografica cerca di accaparrarsi qualche nuova band. La Harvest ci prova con questo quartetto uscito dalla scuola d’arte di Watford. I critici, poveri scemi, li ribattezzano Punk Floyd per sottolineare l’assenza nei Wire della purezza punk. Non si sono accorti che i Wire non sono punk. Ed è più facile trovare tracce barrettiane qui che altrove (sentitevi l’inizio di French film blurred). I Wire sono andati già oltre: Pink Flag, Chairs Missing e 154 sono tre dischi uno più bello dell’altro (senza contare A-Z l’esordio solista del cantante Colin Newman).

Come San Tommaso mettetici il naso (e le orecchie)

Cosa si può scrivere di un disco che è ritenuto tra i migliori album jazz di sempre? Poco o niente, la cosa migliore è riascoltarselo e basta. Non ve ne frega niente che la traccia iniziale St. Thomas è stata a lungo la mia sveglia mattutina? E chi se ne importa, in fondo avete pienamente ragione. Dimentivavo: il disco è Saxophone Colossus e lui è Sonny Rollins in compagnia di Max Roach alla batteria, Tommy Flanagan al piano e Doug Watkins al contrabbasso. L’anno è il 1956.