Il gelo del Polo

I Pôle del francese Paul Putti registrano nel 1975 due dischi, Kotrill e il più rilassato Inside the dream, rispettivamente numeri 1 e 2 della propria etichetta. Il numero 3 sarà l’esordio dei Pataphonie. Kotrill è animato da un’elettronica glaciale molto prossima ai molti dischi coevi di area tedesca. Ovviamente di diritto nella NWW list. Da ascoltare.

Di necessità virtù

Comincia letteralmente in Gloria la carriera di Van Morrison, con la hit da classifica dei suoi Them. Poi il trasferimento negli Stati Uniti, il primo disco solista, contenente la splendida Brown-eyed girl, gli screzi con la casa discografica, gli scarsi soldi che non gli permettono di avere una band. Ma proprio il non potersi permettere altro che l’accompagnamento di un flautista e di un bassista fa da premessa ad Astral Weeks. Van Morrison ha solo ventitre anni e tira fuori questo capolavoro di folk dove la natia Irlanda incontra il jazz.

Formicolio psichedelico

Disco, originariamente stampato nel 1968 in poche copie malamente registrate e autoprodotte, 24 Hours é l’unico album degli Ant Trip Ceremony, nome minore della psichedelia californiana. Il gruppo, nato nei campus universitari, ebbe vita brevissima ma sufficiente per creare questo godibilissimo album dove emerge l’uso del flauto in alcune tracce e una pregevole cover di Hey Joe.

Giganteschi pagliacci del mondo solare

Appartiene agli Enten Hitti di Pierangelo Pandiscia e Gino Ape, da trent’anni indefessi sperimentatori sonori, un mio personalissimo e profano Graal: per  quasi vent’anni ho cercato di trovare questo disco, uscito per la collana Taccuini del Consorzio Produttori Indipendenti nel 1997 (e in realtà già stampato l’anno prima in poche copie come Giant Clowns).  Mi aveva colpito una breve recensione e quel titolo, Giganteschi pagliacci del mondo solare, con cui il poeta Velimir Chlebnikov, fatto conoscere in Italia da  Angelo Maria Ripellino, designava i cubofuturisti russi.

Sconosciuti a noi stessi

Dopo avere impreziosito con la sua voce il primo, bellissimo disco degli United States of America, Dorothy Moskowitz era praticamente scomparsa lasciandoci un paio di registrazioni, non peraltro memorabili, nei cinquanta e passa anni seguenti. Con grande sorpresa lo scorso anno mi sono imbattuto in questo Under an Endless Sky accreditato agli United States of Alchemy. Il compositore italiano Francesco Paolo Paladino un po’ di tempo prima era riuscito a contattare per email la Moskowitz e, coadiuvato dallo scrittore Luca Chino Ferrari, a creare un tappeto sonoro per la voce unica dell’ottantenne Dorothy.

Il circo metafisico

Musica quadrimensionale: un flusso continuo nello spaziotempo americano dalla New York di Wharol e dei Velvet Underground al dixieland del Mardi Gras di New Orleans per tornare poi alla California psichedelica e ancora indietro alle marce militari delle guerra di secessione e di nuovo in avanti con nastri manipolati e scampoli d’elettronica.
Joseph Byrd esordì con questo disco nel 1968 sotto la sigla The United States of America. Un secondo disco ancora più ambizioso e sperimentale uscì l’anno dopo accreditato a Joe Byrd & The Field Hippies. Poi le magrissime vendite lo costrinsero a inventarsi altri mestieri per sbarcare il lunario.

Lodata sia la caffeina

Ogni tanto è doveroso andare a riascoltarsi Angel Dust dei Faith No More,  un album che, era il 1992, centrifugava ogni genere e ancora oggi sprizza energia e freschezza. E lodata sia la caffeina se è vero che all’epoca delle registrazioni Mike Patton usava la  deprivazione del sonno come stimolo alla creatività.

Tonnellate di singhiozzi

Nel 1968 la Island Records mette sotto contratto quattro ragazzi neppure ventenni, i Free, capitanati dal cantante Paul Rodgers. Il loro primo album, Tons of Sobs, esce nel marzo dell’anno seguente e, già dalla copertina, preannuncia un sound inquietante e nervoso. Quello dei Free è un blues tiratissimo che spalanca le porte all’hard rock che verrà.

Il vostro caos è il mondo intero

Voce fuori dal coro e coscienza scomoda, questo erano stati i Disciplinatha nella loro parabola artistica conclusasi nel 1997. Spariti dai radar per un ventennio, nel 2017, Cristiano Santini, Dario Parisini, Marco Maiani e, nella splendida Eva, Valeria Cevolani tornano con un EP a nome Dish-Is-Nein: come a mettere in chiaro che non è un’operazione nostalgia. E infatti non lo è: sono sei tracce tiratissime, testi spietati e lucidi, una doccia gelata per cervelli intorpiditi.

Suoni della ricostruzione

Il mondo non dovrebbe mai finire di ringraziare John Peel per le sue celebri sessions. Una miniera di meraviglie. Come ad esempio le prime due sessions dei New Order, in una fase ancora di ricostruzione dopo l’atroce perdita di Ian Curtis, tra i tentativi di Bernard Sumner di ricalcare il cantato di Ian e omaggi come la cover del brano reggae, amato da Ian, del giamaicano Keith Hudson. Il bello di queste registrazioni sta proprio in quell’andamento ondivago che poi prenderà la strada, a me poco gradita, del synth-pop danzereccio.