Suoni dietro le sbarre

Per tutta la vita Alan Lomax ha raccolto canti popolari, dalle prigioni americane ai cavatori di marmo di Carrara. Fu lui, insieme al padre, l’etnomusicologo John Lomax, a scoprire in una prigione della Louisiana il grande Leadbelly. E fu sempre dai nastri registrati da Lomax nella Spagna franchista che Miles Davis e Gil Evans attinsero le idee che avrebbero portato alla realizzazione di Sketches of Spain, uno dei vertici della produzione davisiana.

Negro Prison Blues and Songs è l’antologia che raccoglie i brani registrati da Lomax nei penitenziari del Mississippi e della Louisiana.

Dall’Illinois all’Île de France

Invitati nel 1969 a un festival a Parigi la Roscoe Mitchell Art Ensemble volò dall’Illinois in Europa. Il gruppo di jazzisti vide nella Francia post-sessantottina  un ottimo brodo di coltura dove fare attecchire le proprie miscele sonore che incorporavano tanto elementi della tradizione africana quanto dell’avanguardia più colta. Così, ribattezzatosi Art Ensemble of Chicago, rimasero un paio d’anni in Francia e a Parigi registrarono una serie di grandi dischi a cominciare dalla colonna sonora di Les Stances a Sophie, pellicola che trattava di liberazione sessuale e in cui i musicisti comparivano in alcune scene sul palco con i volti dipinti come tradizionali guerrieri africani.

Colonna sonora fantastica arricchita dalla splendida voce di Fontella Bass, moglie del trombettista Lester Bowie. A completare la superba formazione dell’Art Ensemble of Chicago c’erano Roscoe Mitchell (sax e clarino), Joseph Jarman (sax), Malachi Favors (contrabbasso) e Don Moye (batteria e percussioni).

Un determinato rapporto

A Certain Ratio: piedi ben saldi alla Hacienda di Manchester e in testa il funky newyorkese dei Talking Heads. Il timbro del cantante Jez Kerr era troppo vicino al fresco fantasma di Ian Curtis e il produttore Martin Hannett ne approfittò per tamponare il vuoto lasciato dai Joy Division nel catalogo della Factory: ne nacque l’album “To each…” quasi mai eseguito dal vivo eppure riconosciuto dalla critica come loro miglior prova su disco. Questo perché il gruppo prediligeva una musica più fisica e viscerale come risulterà più evidente nei dischi successivi.

L’inevitabile post del due maggio

Secondo e ultimo disco dei May Blitz, classico power trio hard psichedelico formato dai canadesi Jamie Black (chitarra e voce) e  Reid Hudson (basso) e completato dall’inglese Tony Newman (batteria) Second of May fu licenziato dall’etichetta Vertigo nel 1971. L’album pregevole, nonostante la trascinante For Mad Men Only, non ebbe miglior fortuna del primo, eponimo, pubblicato l’anno prima. Lo scarso impatto commerciale convinse presto i due canadesi a tornarsene in patria mettendo la parola fine all’avventura musicale dei May Blitz.

Nell’acquario

L’idea dell’etichetta olandese Konkurrent è stata molto semplice ma geniale: chiudere per due giorni in uno studio di registrazione una band o, ancora meglio, due a suonare e vedere cosa ne esce fuori. Così tra il 1996 e il 2009 sono stati realizzati quindici miniLP, intitolati In the Fishtank, in cui gruppi noti e meno noti del panorama mondiale si sono divertiti a mischiare le carte in tavola: dai Sonic Youth a Christian Fennesz, dai Tortoise ai Motorpsycho, dai June of ’44 ai Dirty Three et cetera et cetera.

Qui uno dei miei preferiti, un duetto tutto norvegese tra Motorpsycho e Jaga Jazzist Horns con una pregevole cover degli Art Ensemble of Chicago (Theme of Yoyo dalla colonna sonora del film Les stances á Sophie) e la lunga conclusiva Tristano.

Quelli che ritornano

Avevo perso di vista per un po’ di tempo i Mogwai dopo l’abbuffata di post-rock di fine anni novanta. Poi è arrivata la serie televisiva francese ‘Les Revenants’ e, con questa, la colonna sonora della band scozzese. La musica, composta per l’occasione e con un piccolo tributo ai Portishead, accompagna magistralmente le scene della serie girata in Alta Savoia. Sotto cieli perennementi plumbei si intrecciano i destini irrisolti di ‘quelli che ritornano’ e di quelli che sono rimasti.

Corni d’Africa

Fu merito del genio di Jim Jarmusch, che lo inserì nella colonna sonora di Broken Flowers, la riscoperta di Mulatu Astatke, musicista etiope autore di una brillante miscela di ritmi africani e della tradizione copta, latini e jazz.

Trasferitosi negli anni sessanta per studiare musica prima a Londra e poi, nei settanta, a Boston ha dovuto aspettare gli anni duemila per avere quella notorietà rimasta confinata ai cultori dell’ethio-jazz.

Guardali negli occhi

Materiale Resistente fu pubblicato nel 1995 nel cinquantenario della Liberazione. Attorno ai C.S.I. di Giovanni Lindo Ferretti e soci coagularono tutta una serie di gruppi più o meno legati al consorzio in una rivisitazione più o meno fedele di canzoni della Resistenza. Oltre al disco fu organizzato un concerto a Correggio e girato un film documentario con la regia di Guido Chiesa e Davide Ferrario. Come spesso accade con queste operazioni non tutta la compilazione risulta a fuoco e ben amalgamata ma tanti sono i momenti capaci di creare il necessario cortocircuito tra il tempo presente e quello passato di necessario e doveroso ricordo.

Glad Bad Sad & Mad

La prima cosa che si notava dei Living in Texas (inglesissimi a dispetto del nome) era Mathew Fraser, il batterista. Focomelico, aveva due buchi nelle maniche della maglietta per afferrare meglio le bacchette, ma nonostante l’handicap fisico suonava con incredibile agilità. La loro passione per la musica ebbe la meglio per qualche anno sul loro status di morti di fame e anche di freddo, come ricorda chi li vide in azione a Firenze e a Genova nel freddo inverno dell’85. La loro interessante miscela di post-punk e goth-rock si esaurì in pochi album e diversi singoli ed EP tuttora di difficile reperibilità anche in rete. Un ingeneroso silenzio sulla band e sui suoi componenti fatta eccezione per Mat Fraser che negli ultimi anni si è ritagliato il ruolo di attore e performer (inclusi improbabili strip-tease in cui si stacca le protesi alle braccia).

Cerca, distruggi, costruisci

Szukaj, Burz, Buduj, ovvero cerca, distruggi, costruisci. Questo il significato dell’acronimo SBB, ragione sociale del gruppo polacco capitanato da Józef Skrzek (basso, piano, sintetizzatori) e completato dal chitarrista Antymos Apostolis e dal batterista Jerzy Piotrowski. L’esordio del gruppo è del 1974 dopo aver accompagnato il grande Czeslaw Niemen negli ottimi Volume 1Volume 2 e Ode to Venus. Grandi scorribande strumentali sospese tra jazz-rock e progressive per questo trio che in tempi di guerra fredda rimase sconosciuto oltre cortina.