L’uomo che baciava le nuvole

Dici Roland Garros e pensi al tennis e mai mi sarei aspettato che il Roland Garros cui è  dedicato il prestigioso torneo di Parigi è stato un pioniere dell’aeronautica, morto durante il primo conflitto mondiale.

Il suo diario, edito con il titolo L’uomo che baciava le nuvole è  più avvincente di un romanzo e ripercorre le tappe incoscienti ed eroiche dei primi voli. Io, avrei preferito come titolo Nuvole e Blériot come la canzone di Giorgio Canali dedicata a quel pioniere aviere primo trasvolatore della Manica e in seguito costruttore dei velivoli pilotati da Garros per le sue imprese.

Nel diario traspare a ogni pagina il senso di provvisorietà della vita e la febbrile ricerca di superare i limiti, che siano fisici o meccanici, d’altitudine o di distanza, come la traversata del Mediterraneo, dalla Provenza a Tunisi, a bordo di aeromobili dispettosi e più incerti delle ali di cera di Icaro.

 

 

Risonanze

“Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell’estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un’ottima invenzione.”

(Guida galattica per autostoppisti)

Leggo l’incipit del libro di Douglas Adams e un’interferenza spaziotemporale mi fa risuonare in testa quella razza umana che adora gli orologi e non conosce il tempo di ferrettiana memoria. Abbiate cura del vostro tempo.

Era una gioia appiccare il fuoco

“A misura che le scuole mettevano in circolazione un numero crescente di corridori, saltatori, calderai, malversatori, truffatori, aviatori e nuotatori, invece di professori, critici, dotti e artisti, naturalmente il termine “intellettuale’ divenne la parolaccia che meritava di diventare.”

Quando, nel 1966, il grande regista francese traspone cinematograficamente Fahrenheit 451, romanzo distopico di Ray Bradbury, recluta, per la colonna sonora, il compositore americano Bernard Herrmann che ha appena sciolto il sodalizio con Alfred Hitchcock per il quale ha firmato otto colonne sonore tra cui quella di Psyco.

Herrmann contribuisce con il suo commento sonoro a ricreare le atmosfere inquietanti di un possibile futuro – futuro allora ma maledettamente vicino al nostro presente – dominato dai media e dove i pompieri bruciano i libri.

 

Futuri inverosimili

“E proteggimi dai lacrimogeni / E dalle canzoni inutili”
A me, orfano dei C.S.I., colpì al primo ascolto quella chitarra fin troppo nota:  era infatti quella di Giorgio Canali che suonò e produsse il disco d’esordio de ‘Le luci della centrale elettrica’ nome dietro il quale si nascondeva il ferrarese d’adozione Vasco Brondi. L’amore per i paesaggi urbani malati e intossicati, paesaggi che si fanno personaggi come in certi libri di J.C. Ballard (vedi ad esempio La mostra delle atrocità) me lo fecero eleggere come mia personale colonna sonora degli anni zero. Un esordio folgorante quel Canzoni da spiaggia deturpata a cui sono seguite prove meno a fuoco: forse troppe le aspettative creatisi attorno al personaggio Brondi o forse l’inevitabile corollario di un mercato, specie quello musicale, all’insegna dell’usa e getta: sovraesposto e spremuto come un limone non è riuscito poi a distillare le poche gocce rimaste da quel folgorante esordio del 2008.

Il jazz strappacuore (Jazz in Paris #1)

Il libro Jazz in Paris raccoglie i testi delle trasmissioni radiofoniche preparate da Boris Vian per la WNEW. La radio newyorkese trasmise infatti nel periodo 1948-49 il meglio del jazz proveniente dalla capitale francese che vide in quegli anni un gran fermento grazie anche ai tanti musicisti americani che a Parigi trovarono il successo e lì scelsero di stabilirsi per periodi più o meno lunghi. Il primo artista ad essere presentato al pubblico americano fu il trombettista Philippe Brun, nato nel 1928 e negli anni al fianco di Django Reinhardt, Ray Ventura, Alix Combelle.

La gnòsi delle fànfole

Nel 1997 Massimo Altomare e Stefano Bollani cominciano a mettere in musica le poesie metasemantiche di Fosco Maraini. La Gnòsi delle fànfole esce per  Sonica poco prima che l’etichetta fiorentina di Gianni Maroccolo fallisca.

Bollani e Altomare cercano anche musicalmente di ricreare le Fànfole di Maraini, pubblicate la prima volta nel 1966, caratterizzate dalla ricerca di un vocabolario nuovo in cui le parole pur prive di significato richiamano parole e suoni familiari.

“Il sentimento principale che le Fànfole ci regalavano era la malinconia, proprio come se quel mondo – il vecchio Troncia, le zie in bardocheta – ci fosse un tempo appartenuto e ci trovassimo a rimpiangerlo, fra vecchi amici che sanno di cosa stan parlando senza bisogno di spiegarselo” (Altomare e Bollani, dalle note alla ristampa del disco, con una tracklist leggermente modificata, unitamente al libro della Gnòsi delle Fanfole edito da Baldini e Castoldi).

Lo strappacuore

Sono solo due le cose che contano: l’amore, in tutte le sue forme, con belle ragazze, e la musica di New Orleans e di Duke Ellington. Tutto il resto è da buttar via, perché è brutto…” (Boris Vian, dalla prefazione a ‘L’Écume des Jours‘)

Nel primo dopoguerra l’emittente radiofonica newyorkese WNEW trasmise per 48 puntate il programma Jazz in Paris curato dallo scrittore e poeta francese Boris Vian. L’intento era quello di presentare al pubblico americano il jazz francese: arrivarono anche così alle orecchie d’oltreoceano le note di Django Reinhardt, Stephane Grappelli, Claude Luter. Peccato che nessuna registrazione si sia salvata ma fortunatamente rimangono i testi preparati da Vian per le trasmissioni. Ma lo stesso inesauribile Vian oltre che critico musicale fu lui stesso musicista e paroliere, surreale e antimilitarista. Una vita troppo intensamente vissuta e stroncata il 23 giugno del ’59, 59 anni fa, da un infarto che lo colse al cinema mentre guardava infastidito la trasposizione cinematografica del suo romanzo Sputerò sulle vostre tombe, l’unico che ebbe successo commerciale pur essendo nato come parodia degli hard-boiled americani.

Il poeta maldito

Durante la dittatura militare in Brasile fiorì un movimento musicale che univa impegno politico e sperimentazione generalmente noto come tropicalia o MPB (musica popular brasileira). Forti i legami con la poesia concreta degli anni cinquanta e con i poeti del Manifesto antropofago di Oswald De Andrade (l’illustre cugino De Andrade de La domenica delle salme di Fabrizio De André). Il cantautore Walter Franco fu tra coloro che maggiormente osarono lungo tali traiettorie. Ou nao è il suo album d’esordio, datato 1973 ed entrato a buon diritto nella celebre Nurse With Wound list.

Senza Cuore

“Uno solo poteva ridere mentre Derossi diceva dei funerali del Re, e Franti rise. Io detesto costui. È malvagio. Quando viene un padre nella scuola a fare una partaccia al figliuolo, egli ne gode; quando uno piange, egli ride. Trema davanti a Garrone, e picchia il muratorino perché è piccolo; tormenta Crossi perché ha il braccio morto; schernisce Precossi, che tutti rispettano; burla perfino Robetti, quello della seconda, che cammina con le stampelle per aver salvato un bambino. Provoca tutti i più deboli di lui, e quando fa a pugni, s’inferocisce e tira a far male. Ci ha qualcosa che mette ribrezzo su quella fronte bassa, in quegli occhi torbidi, che tien quasi nascosti sotto la visiera del suo berrettino di tela cerata. Non teme nulla, ride in faccia al maestro, ruba quando può, nega con una faccia invetriata, è sempre in lite con qualcheduno, si porta a scuola degli spilloni per punzecchiare i vicini, si strappa i bottoni dalla giacchetta, e ne strappa agli altri, e li gioca, e ha cartella, quaderni, libro, tutto sgualcito, stracciato, sporco, la riga dentellata, la penna mangiata, le unghie rose, i vestiti pieni di frittelle e di strappi che si fa nelle risse. Dicono che sua madre è malata dagli affanni ch’egli le dà, e che suo padre lo cacciò di casa tre volte; sua madre viene ogni tanto a chiedere informazioni e se ne va sempre piangendo. Egli odia la scuola, odia i compagni odia il maestro”.
Un tempo la lettura del libro Cuore di De Amicis rientrava tra le pratiche edificanti che ogni studente era tenuto ad adempire. Nelle intenzioni un’iniezione corroborante di virtù civili. Nella pratica lo leggevi solo per vedere cosa avrebbe combinato il cattivo Franti.

Nel 1982 si formò a Torino un gruppo che si battezzò, proprio in omaggio al personaggio di De Amicis, Franti. Gruppo fieramente indipendente autore di sonorità post-punk e free-jazz nobilitate dalla splendida voce di Lalli.

L’oro blu

“Sputi” è un estemporaneo ma perfettamente riuscito episodio musicale di Marco Paolini e del suo “teatro civile”.  Accompagnato dai Mercanti di Liquore il disco era nato attorno a un nucleo di tre pezzi, ‘Due parti di idrogeno per una d’ossigeno’, ‘Regola acquea’, ‘Mare Adriatico’, dedicati alla difesa dell’acqua, l’oro blu costantemente minacciato da chi vorrebbe arrogarsene la proprietà. A questa  manciata di brani finirono per sommarsi pezzi antimilitaristi originali o estrapolati da testi di Erri De Luca, Gianni Rodari, Mario Rigoni  Stern. Ed altri tratti dai Canti Orfici di Dino Campana e dalle opere di Biagio Marin, Giacomo Noventa, Ernesto Calzavara.