Il teorema del delirio

π – Il teorema del delirio è la pellicola indipendente del 1998 con cui Darren Aronofski si è fatto conoscere sulla ribalta cinematografica prima dei successi di The wrestler, Il cigno nero, Requiem for a dream.Premiato al Sundance festival il film è stato girato in un bianco e nero dalla grana grossa e vanta una strepitosa interpretazione di Sean Gullette nel ruolo del matematico ebreo pazzo che cerca risposte tra le equazioni della borsa di Wall Street e i numeri della Cabala. Grande colonna sonora in cui figurano Clint Mansell (sua anche la colonna sonora del successivo Requiem for a dream), Aphex Twin, Roni Size, Autechre, Massive Attack, Orbital, Gus Gus.

 

Triscaidecafobia

In genere gli ascensori non fermano al tredicesimo piano semplicemente perché non c’è un tredicesimo piano non c’è. Non porta bene il numero 13 così la numerazione passa direttamente dal dodicesimo al quattordicesimo.

Sta lì in mezzo, dove non si vuol mettere il naso la musica dei texani The 13th Floor Elevators, tra i primi alfieri della psichedelia, con il loro garage rock allucinato caratterizzato dal jug elettrificato di Tommy Hall, in pratica un bottiglione suonato a suon di pernacchie che marchierà a fuoco You’re Gonna Miss Me, primo grande successo della band, e dalla voce del  leggendario Roky Erickson, tra le prime vittime del LSD e il cui arresto e conseguente ricovero in  ospedale psichiatrico sancirà di fatto la fine del gruppo. 

La lava e l’elefante

C’è stato un tempo felice in cui MTV Italia non esisteva. C’era invece una più ruspante Videomusic che rimpiango. Non solo per il concerto acustico dei CSI, ma perché in generale riusciva a far passare anche – e scrivo anche perché d’altronde non siamo nel migliore dei mondi possibili – musica decente. Addirittura in un programma come il Roxy Bar di Red Ronnie si riusciva a trovare qualcosa da salvare.
Ricordo che c’erano questi due videoclip simili nella musica e nella regia: uno era Bull in the heather dei Sonic Youth, l’altro era di un gruppo chiamato Uzeda.
Ci volle del tempo per scoprire che questi ultimi erano catanesi, avevano partecipato alle John Peel sessions della BBC (che è ben altro dal Roxy Bar di Red Ronnie), erano riusciti a farsi registrare il disco da Steve Albini e poi a pubblicare con la Touch and Go, una delle più importanti etichette indie degli States. Ma nonostante tutto questo e un tour, quello del 2018, celebrativo del trentennale della band, rimangono dei quasi carneadi .

Cinque dischi in vent’anni, tanta rabbia e una voce, quella di Giovanna Cacciola, che pare sempre sull’orlo del baratro, pronta a cadere in quel cratere che non smette mai di dispensare lava. L’urlo di una terra, quella etnea, continuamente stuprata.

 

Come il soffitto di una chiesa bombardata

Immagino l’anonimo lettore che nella primavera del 2019 leggerà del sottoscritto che nell’estate del ’96 ascoltava Emidio Clementi declamare di come nell’inverno dell’85 ascoltasse un disco di Jim Carroll uscito nell’80, magari in autunno. E tutti e quattro, Carroll, Clementi, lo scrivente e l’anonimo lettore accomunati dall’essersi sentiti, prima o poi, come il soffitto della chiesa bombardata di Wicked Gravity.
Gran personaggio, Jim Carroll, ragazzino cattolico di origine irlandese dal precoce talento letterario e grande scommessa del basket, presto persa per una rapida discesa negli inferi delle droghe, a un certo punto reinventatosi rocker. L’esordio discografico della Jim Carroll Band è del 1980 con Catholic Boy. Jim ha già superato i trent’anni, splendidi i testi e musica nel segno di un trascinante punk-rock sulle orme dell’amica Patti Smith (inevitabile direi, vista la partecipazione al disco di Allan Lanier, compagno della Smith e musicista dei Blue Oyster Cult).

Metempsicosi

A differenza di tanti musicisti diventati più zombie di Eddie degli Iron Maiden a forza di continuare a ripetere se stessi all’infinito c’è chi come Steve Hillage si è reincarnato di volta in volta in forme diverse. In principio furono gli Uriel che nel ’69 diedero alle stampe il loro primo e unico album sotto le mentite spoglie dei fantomatici Arzachel. Quando infatti uscì il disco parte del gruppo era già diventata Egg e il contratto con la Deram non ne avrebbero consentito la pubblicazione. Fu poi la volta dei Kahn, un unico visionario disco nel ’72.
Seguì un tour con Kevin Ayers e poi l’ingresso nella teiera volante dei Gong di Daevid Allen con i gradi di Submarine Captain. Hillage torna sulla Terra dalle imprese spaziali dei Gong quando nel ’77 esplode il punk e partecipa al disco degli Sham 69.
Con l’arrivo degli anni ’80 Hillage passa dietro la consolle e produce i dischi di Simple Minds e Robyn Hitchcock. Passa un decennio è torna con la sua chitarra nel seminale album elettronico degli Orb, The Orb’s Adventures beyond the Ultraworld.
Insomma una vita musicale sempre in continuo movimento nel segno della più genuina scuola di Canterbury.

Il pomo della discordia

“Tanto io non ho speranza / io ho fede”
Un disco che  è unanimemente considerato come l’anello debole o addirittura debolissimo della discografia dei Massimo Volume. Nonché ultimo disco ufficiale prima dello scioglimento e il silenzio durato fino al 2008. A essere maligni si potrebbe scaricare la colpa su Manuel Agnelli, cantante degli Afterhours e all’epoca molto vicino al gruppo di Emidio Clementi: i due frontman, divenuti  amici,registreranno alcuni reading come Gli Agnelli Clementi e faranno anche un viaggio insieme in India. L’album del 2002 degli Afterhours, Quello che non c’è, ne sarà fortemente influenzato: Bye Bye Bombay, Varanasi baby e Ritorno a casa, con un recitato alla Massimo Volume, lo testimoniano in maniera evidente.
Club Privé, pubblicato nel ’99 e prodotto proprio da Agnelli, arriva dopo una formidabile terna di dischi (Stanze, Lungo i bordi, Da qui). La band cerca vie nuove, in un paio di brani Mimì prova a cantare, ma gli esiti sono altalenanti. Rimangono però perle accecanti: Pondicherry, Privé (impreziositi, questi due brani,  dalla voce di Cristina Donà), Seychelles ’81, Dopo che, Altri nomi.

Musica per sommergibili

“Non è difficile diventare una grande ammaliatrice: basta restare immobile e recitare la parte dell’oca”

Diede scandalo Hedy Kiesler quando nel ’33, alla seconda edizione della mostra del cinema di Venezia, comparve in uno dei primi nudi integrali della storia del cinema. A poco valsero i seguenti tentativi dell’allora marito Fritz Mandl di comprare e togliere dal mercato tutte le copie di quel film, Estasi, del regista cecoslovacco Gustav Machaty che così tanto scalpore aveva sollevato.

Scandalo lo aveva dato anche George Antheil, compositore americano di stanza in Europa, autodefinitosi il ragazzo cattivo della musica per le sue opere avanguardistiche: suo il commento sonoro dello sperimentale Balletto meccanico del pittore cubista Fernand Léger.
Nel ’37 Hedy fugge dal geloso marito e dal nazismo verso Hollywood dove assunto lo pseudonimo di Hedy Lamarr conquisterà il pubblico statunitense. Nel ’41 l’incontro con George Antheil con il quale Hedy, che era stata brillante studentessa e ingegnere mancata, nonché moglie di quel Mandl che lavorava nel campo degli armamenti, metterà a punto un brevetto per le comunicazioni tra sommergibili.
Inizialmente bocciato, tale sistema di crittografia sarà adottato dalla marina statunitense durante il blocco di Cuba del ’62.

Il trifide tra Masini e Merola

Il rivenditore di dischi mi guardò con grande perplessità quando gli chiesi il prezzo di quel vinile, trovato, bizzarrie dell’ordine alfabetico, dopo Marco Masini e prima di Mario Merola. Sulla copertina c’era la foto di un uomo in una vasca da bagno e l’LP non era prezzato. Il tipo mi chiese una cifra ridicola con l’aria sollevata di chi riesce a liberarsi finalmente di qualcosa di sgradevole.

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Il disco era Stanze, l’esordio dei Massimo Volume, uscito nel 1993 prima del fondamentale Lungo i bordi. Ma in questo disco c’è già tutto, le storie recitate di Emidio Clementi, la chitarra di Egle Sommacal, la batteria di Vittoria Burattini, l’amore per la letteratua, con la citazione di Bukowski (L’amore è un cane che viene dall’inferno), il cinema (dal John Ford di In nome di Dio, alla fantascienza de Il giorno dei trifidi fino al Tarzan di Weissmuller ), l’omaggio a Faust’O Rossi (Cinque strade).

Una barba d’api come punizione (Not All Blacks #4)

Nati come Nocturnal Projections nel 1981, nella remota New Plymouth, in Nuova Zelanda, la creatura dei fratelli Graeme e Peter Jefferies mutò presto nome in This Kind Of Punishment. L’esperienza dei TKOP durò il tempo di un paio di LP, troppo poco ma abbastanza però per lasciare una personalissima  new wave imbevuta di folk e avanguardia.

Giù il cappello

“Space is just an ashtray / Flesh is my best wheel / The atmosphere’s my highway / And the landscape’s my next meal” (da Me and My Woman)

Ci deve essere qualcosa se non va se rimani nell’ombra dopo aver cantato in uno dei dischi più famosi (e venduti) dei Pink Floyd e dopo che addirittura i Led Zeppelin ti dedichino una canzone, Hats off to (Roy) Harper, nel loro terzo superbo disco, quello della svolta folk-rock e ti vogliano con loro in tour.

Roy Harper, folk-singer eclettico e lunatico, giunse alla Harvest nel ’69 con alle spalle già tre dischi ma il meglio doveva ancora venire con Flat Baroque and Beserk contenente la polemica e antirazzista I hate the white man e le quattro lunghe tracce di Stormcock  con il contributo chitarristico di S. Flavius Mercurius bizzarro nome dietro cui si celava per meri problemi contrattuali Jimmy Page, gli Zeppelin incidevano per la concorrente Atlantic.