I piccoli diavoli di Minneapolis

Le riprese di Down by Law (per noi del consunto stivale Daunbailò) avvicinarono quei tre impossibili personaggi che rispondono ai nomi, rigorosamente in ordine alfabetico di Roberto Benigni, John Lurie e Tom Waits. L’anedottica attorno alla pellicola di Jarmusch è  sconfinata e con risvolti, giocoforza visti i protagonisti, grotteschi e le amicizie maturate sincere. Tanto che quando due anni dopo Benigni realizzerà  Il piccolo diavolo non solo  riserverà una parte nel cast a John ma affiderà al fratello Evan Lurie, pianista e suo compagno nei Lounge Lizards. E per completare il cerchio ci sarà alla chitarra Marc Ribot, collaboratore storico di Tom Waits. Una colonna sonora da riscoprire.

L’uomo che baciava le nuvole

Dici Roland Garros e pensi al tennis e mai mi sarei aspettato che il Roland Garros cui è  dedicato il prestigioso torneo di Parigi è stato un pioniere dell’aeronautica, morto durante il primo conflitto mondiale.

Il suo diario, edito con il titolo L’uomo che baciava le nuvole è  più avvincente di un romanzo e ripercorre le tappe incoscienti ed eroiche dei primi voli. Io, avrei preferito come titolo Nuvole e Blériot come la canzone di Giorgio Canali dedicata a quel pioniere aviere primo trasvolatore della Manica e in seguito costruttore dei velivoli pilotati da Garros per le sue imprese.

Nel diario traspare a ogni pagina il senso di provvisorietà della vita e la febbrile ricerca di superare i limiti, che siano fisici o meccanici, d’altitudine o di distanza, come la traversata del Mediterraneo, dalla Provenza a Tunisi, a bordo di aeromobili dispettosi e più incerti delle ali di cera di Icaro.

 

 

Re senza corona

God save strawberry jam and all the different varieties
Preserving the old ways from being abused”

In genere ci si ricorda dei Kinks solo per il cattivissimo riff di You really got Me, decida il lettore se classificarlo come hard, heavy o protometal. Un riff vecchio di oltre mezzo secolo, il singolo uscì infatti nell’agosto del ’64, che conquistò la vetta delle classifiche britanniche e che sarebbe bastato, ad altre band, a giustificarne un’intera carriera.

In realtà, per la band di Ray Davies, si trattò di un grosso equivoco. La casa discograficala Pye voleva dal gruppo a tutti i costi una hit ma il talento dei Kinks stava altrove, nella capacità di radiografare impietosamente la società britannica. E il loro capolavoro in tal senso arrivò nel ’68 con il concept album The Village Green Preservation Society, una collezione di gemme pop che attingevano al repertorio del vaudeville, del music hall, delle bande militari. Disco che, inutile dirlo, fu un fiasco dal punto di vista commerciale e che a maggior ragione è bene risarcire con un ascolto.

E

Corona ovvero un saggio di isolazionismo

Esaurita l’esperienza shoegaze dei Loop, Robert Hampson e Scott Dawson danno vita ai Main la cui ricerca sonora spinge ancora di più sull’acceleratore della sperimentazione verso territori musicali sempre più astratti e oscuri. Esempio di questa musica isolazionista l’EP Corona, licenziato nel 1995, secondo capitolo di sei EP poi raccolti nel doppio CD Hertz.

Tornerà un altro inverno

L’inverno svapora ma tornerà puntuale come kepleriana abitudine. Poi verrà l’estate e sarà difficile odiarla dopo l’imposta reclusione primaverile. Ma non verrà meno l’amore incondizionato per il brano di Bruno Martino che qui rispolvero in una versione di 17 minuti di Chet Baker, il grande trombettista americano che recluso, nel carcere di Lucca, lo fu davvero: ben sedici mesi dopo l’arresto in un autogrill avvenuto nel 1960 proprio l’anno in cui Martino pubblicava la sua hit.

Pare che i ragazzini andassero sotto le mura del penitenziario di San Giorgio per sentire la sua tromba. Chissà se già allora suonasse l’Estate.

 

 

Quest’uomo era un fenomeno

“tu suonavi Bill Evans dicendo quest’uomo è un fenomeno”

Così  canta Fabio Concato in Gigi, brano dedicato al padre Luigi, anch’egli musicista jazz.  E fenomeno era il buon Bill, unico bianco imposto a forza da Miles Davis per le registrazioni di Kind of Blue, pianista eccezionale quanto la sua fragilità di uomo tormentato alla ricerca di un pezzo di pace come la superba improvvisazione registrata pochi mesi prima, nel dicembre del ’58 e che, su richiesta di Miles,

diventerà l’introduzione di Flamenco Sketches.

 

Nel solco ancora scorrerà sete che divora i sorsi

In attesa di  ascoltare l’ultima fatica IRA, che doveva essere presentata dal vivo nelle prossime settimane, vado a riascoltarmi il precedente DIE, anno 2015 di Jacopo Incani alias IOSONOUNCANE. Parsimonioso nelle sue uscite discografiche,  il primo lavoro, La macarena su Roma, è  datato 2010, DIE è  un concept sul dialogo a distanza di un uomo e una donna, lui in mare, lei in attesa a riva e la paura della morte. Un disco più  suonato e più  universale rispetto ai comizi, peraltro eccellenti, del disco di esordio.


 

Mai dire Maier

L’ospedale pediatrico di Firenze è  per tutti il Maier. E questo per lo scorno del povero commendatore Giuseppe Meyer, gentiluomo di San Pietroburgo, che donò alla città l’ospedale fondato in memoria della moglie Anna, precocemente scomparsa. Nell’atto di donazione volle far mettere nero su bianco che il suo cognome era da pronunciare con la “e”. Invano.

27 gennaio 2020, cielo grigio come il manto autostradale che si srotola in direzione casa, il sollievo di una malattia sconfitta, l’autoradio che trasmette, è  il giorno della memoria, Interlude Op.21 di Gerald Finzi, compositore inglese, padre italiano, madre tedesca, origine ebraiche, morto nel 1956, a soli 55 anni, dopo essersi visto diagnosticare un linfoma di Hodgkin. Tema a lui caro, quello dell’infanzia corrotta dal mondo adulto.

La foresta non più vergine

Il bolso Bolsonaro, presidente brasiliano ha affermato che l’Amazzonia non è patrimonio dell’umanità ma solo del Brasile. Mi indigna l’incapacità di andare oltre il proprio ombelico e non capire che la Terra è di tutti. Quindi abbasso Bolsonaro e viva il meticciato musicale di Hermeto Pascoal, polistrumentista jazz soprannominato ‘o bruxo’, lo stregone.

Risonanze

“Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche dell’estremo limite della Spirale Ovest della Galassia, c’è un piccolo e insignificante sole giallo.
A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c’è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un’ottima invenzione.”

(Guida galattica per autostoppisti)

Leggo l’incipit del libro di Douglas Adams e un’interferenza spaziotemporale mi fa risuonare in testa quella razza umana che adora gli orologi e non conosce il tempo di ferrettiana memoria. Abbiate cura del vostro tempo.