Il collezionista di suoni

Henry Cowell è stato un grande musicista americano: tra il 1912 ed il 1930 introdusse tecniche esecutive che saranno alla base del pianismo d’avanguardia: clusters di note, aggregati sonori eseguiti con l’avambraccio, con il pugno o con la mano piatta, manipolazione diretta delle corde del pianoforte. Non gli furono neppure estranei i primi vagiti dell’elettronica: nel ’30 commissionò a Leon Theremin, l’inventore dell’omonimo strumento, la costruzione di un poliritmofono, una particolare tastiera capace di eseguire sedici differenti ritmiche contemporaneamente.

Anima inquieta, Cowell nel 1931 è a Berlino a studiare musica indiana e balinese. Comincia a incorporare nelle sue composizioni elementi sempre più eterogenei provenienti da Asia e Africa: un’esplorazione che continuerà senza sosta per tutta la sua vita anche negli anni durissimi del carcere: nel ’36 con l’accusa di essere bisessuale fu condannato a dieci anni di reclusione per reati contro la morale.

La teoria del frigo vuoto

Il titolo bizzarro, La teoria del frigo vuoto, celiava sulla classica scusa di chi non vuole invitarti a cena. Autoprodotto nel 1998 dai Brutopop, quartetto romano che si era fatto le ossa di fianco ai mitici Fugazi e aveva realizzato le trame musicali degli Assalti Frontali per il disco Conflitto – per chi scrive uno dei lavori imprescindibili degli anni novanta – ebbe ottime recensioni e scarsissimo riscontro commerciale (anni fa ne acquistai cinque copie in vinile a un euro cadauno). Un vero peccato perché sono quaranta minuti di ottima musica strumentale tra post-rock, lounge ed echi morriconiani.

 

Il tempo delle mele

Gli uomini primitivi cominciarono a fare musica utilizzando conchiglie, pelli, legnetti e quant’altro gli offriva la natura circostante, costruirono i loro primi rudimentali strumenti. In maniera non troppo dissimile negli anni sessanta si cominciò a fare musica utilizzando i nuovi prodotti della neonata e imberbe elettronica. E i musicisti oltre che esecutori tornarono ad essere costruttori dei loro strumenti. Uno di questi fu, nel campo dell’avanguardia, l’americano Morton Subotnick. Alla sua “Silver apples of the moon” guardarono Simeon Coxe e Danny Taylor quando cercarono di applicare al rock la lezione appena appresa. Due dischi guarda caso sotto la sigla ‘Silver Apples’ che hanno lo stesso fascino antiquato e naif dei primi computer, quando per realizzarne uno potevano bastare due ragazzi occhialuti in un garage.

Canterbury al pesto

Picchio Dal Pozzo. A volte la scelta del nome del gruppo è decisiva. E in questo caso azzeccatissima. Nome splendido. Copertina altrettanto evocativa, ripresa da un libro tedesco di illustrazioni per bambini. Musica che attinge sì al jazz-rock di Canterbury ma lo interpreta con un’originalità e una sensibilità fuori dal comune. Non solo epigoni di Soft Machine e compagnia wyattante.

Febbre spagnola

Ci sono dischi che si incontrano tardi, quello della Liberation Music Orchestra di Charlie Haden, già contrabbassista del gruppo di Ornette Coleman, l’ho scoperto colpevolmente solo in anni recenti. E’ un disco del 1969, il gruppo è una sorta di big band stellare, ne fanno parte la pianista Carla Bley, suoi la maggior parte degli arrangiamenti, il trombettista austriaco Michael Mantler, il sassofonista argentino Gato Barbieri e poi Don Cherry alla cornetta, Paul Motian alla batteria, Dewey Redman al sax, Roswell Rudd al trombone. Il repertorio del disco attinge a canzoni tradizionali della guerra civile spagnola e ad altre canzoni di protesta della tradizione europea come Song of the United Front di Brecht, di quella afroamericana come We Shall Overcome o ancora War Orphans di Ornette Coleman e Song for Che di Haden ,che rielabora in chiave free l’Hasta siempre di Carlos Puebla.

Ma non aspettatevi né un album di lagnose riletture di canzoni andaluse né il free-jazz più cervellotico e di oscura interpretazione: questo è un gran disco che riesce a conciliari due mondi e due linguaggi apparentemente lontanissimi.

Eretici, Ermetici

RIO, acronimo di Rock In Opposition, nasce il 12 marzo 1978 a Londra. L’opposizione dichiarata è alla musica commerciale. E il volantino vergato da Chris Cutler è eloquente: “I discografici prendono le loro decisioni basandosi sul profitto ed il prestigio… essi hanno orecchie solo se si tratta di rubare denaro, cuori che pompano sangue di chi assassinano”. Sotto lo slogan “The music the record companies don’t want you to hear” si esibiscono cinque gruppi da altrettanti paesi: i padroni di casa, gli Henry Cow, gli italiani Stormy Six, gli svedesi Samla Mammas Manna, i francesi Etron Fou Leloublan e i belgi Univers Zero.

Quest’ultimi, capitanati dal batterista Daniel Denis, si portano dietro un armamentario di viole, violoncelli, clarinetti, harmonium e spinette. Più che il rock inseguono Bartok e la musica contemporanea. Il loro secondo disco ‘Heresie’ del 1979 è esemplare: l’umore è tetro e plumbeo come i cieli di Bruxelles. Negli anni seguenti incorporeranno nella loro musica strumenti elettronici e sintetizzatori ma senza mai discostarsi dal loro credo eretico lontano da ogni altro genere precostituito. Il loro suono rimarrà sempre, come titola una delle loro prime composizioni, un “caos ermetico”.

L’uomo dei pupazzetti

Li aspetto, come se fossi uno sciamano, e loro arrivano. Faccio queste frivolezze da molto tempo, le persone mi portano i giocattoli dei loro bambini che poi diventano personaggi veri e propri del mio lavoro, per le installazioni, le sculture, le performance, i video. Li uso come spugne di spiriti che assorbono memorie ed esperienze dell’infanzia che contengono.

Charlemagne Palestine non è solo un eccentrico signore di Brooklyn che si esibisce contornato di pupazzi e pelouches. E’ un grande musicista, pioniere dell’elettronica, allievo di Morton Subotnick, e studioso del gamelan indonesiamo. I suoi primi lavori Four Manifestations on Six Elements (1974) e soprattutto Strumming Music (1977) sono assolutamente da ascoltare. Strumming è unione di streaming e drumming, un flusso percussivo generato dal pianoforte che crea uno stato di trance.

 

 

Non dire gatto

Prima del grunge ci furono i Gronge. E ci sono ancora dopo oltre trent’anni sempre misconosciuti e sempre alle prese col loro technopunkcabaret (la definizione è loro e così non ho la solita angoscia di dover appioppare l’etichetta giusta). La loro musica coraggiosa e bislacca e per il sottoscritto spesso insopportabile veicolava testi mai banali come nel capolavoro dedicato a Giovanni Trapattoni e al suo calcio operaio. E all’epoca celebre per richiamare dalla panchina i suoi giocatori con gli inconfondibili fischi a due dita. Non era all’epoca ancora emigrato in Germania dove, alla guida del Bayern Monaco,  diventerà virale il suo sfogo in tedesco maccheronico contro il malcapitato Strunz.

Musica per l’Europa che non c’è più

Non riesco a leggere il libro Galizia. Viaggio nel cuore della Mitteleuropa di Martin Pollack senza la compagnia della musica di Zev Feldman e Andy Statman. Il libro segue le tracce di quella propaggine d’Europa ai bordi dell’impero asburgico travolta dagli eventi tragici del novecento e ne riporta  a galla le storie così come nel ’79 Zev Feldman, studioso di musica ottomana e Andy Statman, clarinettista newyorkese ripescano la tradizionale musica klezmer. Jewish Klezmer Music è il loro disco di esordio e si apre proprio con una Galitsianer Tantsel.

Qui il video di una esibizione del duo nel novembre del 1978, un concerto di tributo al maestro di Statman, Dave Tarras.

Tutta la violenza della matematica

Successioni numeriche, progressioni aritmetiche e geometriche, c’è tutta la violenza della matematica nella musica dei californiani Drive Like Jehu. Due album per il quartetto di San Diego, l’omonimo del 1991 e ‘Yank Crime’ del 1994 che rinverdivano i fasti di band come Slint, Fugazi, Jesus Lizard. Un math-rock dove la precisione chirurgica delle esecuzioni non andava mai a scapito della visceralità della loro miscela sonora.