Passaggiata sui cocci di vetro
27 gennaio, giorno della memoria. Buona occasione per riascoltare Kristallnacht del geniaccio John Zorn. L’artista newyorkese sensibilissimo alla musica ebraica enucleata nei tantissimi capitoli della discografia dei Masada presenta questo concept album dedicato alla famigerata Notte dei cristalli al Festival Art Project di Monaco di Baviera del 1992. Il disco viene registrato a New York nel novembre dello stesso anno con i fidi Marc Ribot alla chitarra, Mark Feldman al violino, Anthony Coleman al piano, Mark Dresser al contrabbasso, David Krakauer al clarinetto, Frank London alla tromba e William Winant alle percussioni. Il jazz-klezmer dei Masada si frantuma e si frattura trasformandosi in una camminata sui cocci di vetro con inserti rumoristici volutamente insostenibili e brandelli di discorsi del Führer: perché le ferite siano sempre aperte nel ricordo.
I cuor di bue
I figli del capitano
Death of an electric citizen, la traccia che apre Wasa Wasa, album d’esordio della Edgar Broughton Band non lascia dubbi su quanto sia importante l’impronta di Cpt. Beefheart sul sound del trio inglese. Una fonte d’ispirazione che sarà omaggiata anche nella strano medley di Apache drop-out dove fonderanno il pezzo degli Shadows con quello della Magic Band di Beefheart.
Quella dell’Edgar Broughton Band è un hard-blues tiratissimo che fa da tappeto a testi esplicitamente politicizzati e che costituiscono la vera forza motrice del gruppo: infatti esaurita quella, i loro dischi non avranno da dire poi molto di più.
Con Deviants, Pink Fairies, Third World War costituiranno quel nocciolo duro dell’underground britannico dei primi anni settanta che farà proprie le istanze di quella classe operaia che seppure per l’ennesima volta non vedrà il paradiso farà da apripista per i futuri punkrockers.
La meditazione elettronica (Ohr Records #2)
L’esordio dei Tangerine Dream è tanto esplosivo che il terzetto autore di Electronic Meditation (1970, Ohr Records) si disgregherà subito dopo. La sigla sociale rimarrà al chitarrista e organista Edgar Froese che virerà su territori sempre più cosmici (e in seguito di pessima ed evitabilissima elettronica) mentre Conrad Schnitzler (violino e violoncello) e Klaus Schulze, qui ancora dietro alla batteria e non ancora alle prese col sintetizzatore di cui diventerà uno dei massimi esecutori continueranno, ognuno per proprio conto, le loro sperimentazioni sonore in quel filone aureo che è il krautrock.
In questo primo album c’è ancora una selvatichezza rock che sarà poi progressivamente abbandonata a favore di un suono sempre più liquido e siderale ma meno umano e per questo più difficile da amare.
Crogiolo di suoni
« Sheffield, I suppose, could justly claim to be called the ugliest town in the Old World. »
Così scriveva George Orwell di Sheffield, anonima città dello Yorkshire che durante la Rivoluzione Industriale vide decuplicata la sua popolazione per via dello sviluppo delle acciaierie: qui sono stati inventati il crogiolo e l’acciaio inossidabile. E tra i disoccupati delle acciaierie Sheffield si svilupperà, oltre un secolo dopo, la trama del fortunato film Full Monty.
E proprio Sheffield è stata sul finire degli anni settanta il crogiolo in cui sono nate importanti realtà della musica industrial come i Cabaret Voltaire e i Clock DVA di Adi Newton. Questi ultimi esordiscono nel 1980 con White souls in black suits, una raccolta di jam psichedeliche che alla mancanza del sole californiano sopperiscono con le scorie incandescenti e acuminate dell’altoforno.
Abbattere l’asilo della realtà
Di guru ne servono due (Ohr Records #1)
Piove elettricità, anzi grandina, dal disco d’esordio del trio tedesco dei Guru Guru. UFO, tra le primissime uscite della Ohr, la benemerita etichetta tedesca con l’orecchio sulla label, è la pietra d’angolo, acuminatissima, della loro scarna produzione. Lontani dalle coeve derive cosmiche i protagonisti di cotanta potenza sono Aix Genrich alla chitarra, Uli Trepte al basso, Mani Neumeier alla batteria.
L’aspirante suicida
Le cronache narrano che nelle intenzioni questo disco doveva essere il primo degli Oxbow e il testamento di Eugene S. Robinson, ex pugile e cantante della succitata band di San Francisco, aspirante suicida.
Per sua e nostra fortuna il gigantesco Eugene, che sul palco gigioneggia in mutande, non ha mantenuto l’originale proposito e ha sfornato con parsimonia altri dischi (sette dall’esordio nel lontano 1989) tutti da ascoltare dove. Il vocione soffertamente blues di Robinson è accompagnato da ritmiche ora blues, ora jazz, ma sempre pronte a deragliare in territori noise.
Chiedi alla ruggine
I Rodan ressero un solo album prima di disintegrarsi. Ma come in certe reazioni nucleari incontrollate l’energia liberata fu di portata terrificante: dai resti dei Rodan sono partite le avventure sonore di June of ’44, Shipping News, Rachel’s, Sonora Pine. Un math-rock, quello del quartetto di Louisville, Kentucky, nel solco degli Slint ma con tanta rabbia in corpo in più.