I quattro Caballeros

Don Caballero, da Pittsburgh. Un batterista soprannominato Mr. Octopus, al secolo Damon Che Fitzgerald, e corde arroventate di basso e chitarre, in numero di due. Almeno tre dischi di livello eccelso come ‘For respect’ (1993), ‘2’ (1995) e ‘What burns bever returns’ (1998). Math-rock, se vi piacciono le etichette.

Oggi forse sì

L’aggettivo eclettico sta addirittura stretto a un musicista come Czeslaw Niemen: polacco, classe 1939, ha spaziato dal pop alla musica psichedelica, dal jazz-rock alla musica elettronica. Nel 1970 partecipò addirittura al Cantagiro, il popolare festival itinerante nostrano con Oggi forse no. Ovviamente al pop senza nerbo preferisco i due ottimi dischi sperimentali registrati nel 1973 insieme ai musicisti del gruppo SBB e intitolati semplicemente Volume 1 e Volume 2 (riuniti poi nell’antologico Marionetki). Ma non sono gli unici titoli della discografia del nostro a meritare un ascolto attento.

Sporchi di terra

Gli Earth di Dylan Carlson nascono a Olympia, piccola cittadina a 60 miglia da Seattle, capitale dello stato di Washington. Esordiscono per la SubPop  con l’EP Extra-Capsular Extraction nel ’91 e realizzano il loro capolavoro con l’album Earth 2 nel ’93 disco di pesantissimi droni reiterati all’infinito. Negli anni la musica di Carlson cambia registro e si colora di psichedelia, mi pare appropriata l’etichetta di southern-gothic appiccicatagli da alcuni recensori. Ottimo esempio di questa fase l’album del 2005 Hex: or Printing in the Infernal Method.

Bandiera rosa

1977. I Pink Floyd non ci sono più da un pezzo. Voi direte che nel ’77 hanno pubblicato per l’etichetta Harvest Animals e due anni dopo anche The Wall, ma quelle sono solo le nevrosi in musica di Roger Waters. Sono anche grandi dischi ma dischi di musicisti in gabbia, i ruggiti innocui di bestie allo zoo.
Fuori invece accade altro, esplodono i disordini non solo musicali del punk.
Ogni casa discografica cerca di accaparrarsi qualche nuova band. La Harvest ci prova con questo quartetto uscito dalla scuola d’arte di Watford. I critici, poveri scemi, li ribattezzano Punk Floyd per sottolineare l’assenza nei Wire della purezza punk. Non si sono accorti che i Wire non sono punk. Ed è più facile trovare tracce barrettiane qui che altrove (sentitevi l’inizio di French film blurred). I Wire sono andati già oltre: Pink Flag, Chairs Missing e 154 sono tre dischi uno più bello dell’altro (senza contare A-Z l’esordio solista del cantante Colin Newman).

Come San Tommaso mettetici il naso (e le orecchie)

Cosa si può scrivere di un disco che è ritenuto tra i migliori album jazz di sempre? Poco o niente, la cosa migliore è riascoltarselo e basta. Non ve ne frega niente che la traccia iniziale St. Thomas è stata a lungo la mia sveglia mattutina? E chi se ne importa, in fondo avete pienamente ragione. Dimentivavo: il disco è Saxophone Colossus e lui è Sonny Rollins in compagnia di Max Roach alla batteria, Tommy Flanagan al piano e Doug Watkins al contrabbasso. L’anno è il 1956.

Il terzo sesso

Contacto Espacial con el Tercer Sexo è una girandola di suoni e campionamenti che sono molto più di una stramberia degli anni ’90. Il duo di Camarillo, California, battezzatosi Sukia (dal nome probabilmente di un fumetto erotico di casa nostra) e affiancati dai Dust Brothers, geniali produttori – c’erano loro dietro la consolle di Odelay, uno dei maggiori successi di Beck – sfornano un album che è un divertentissimo miscuglio di exotica, lounge e trip-hop: una maquina del sueno, come cantano in The Dream Machine.

Patchwork psichedelico

Questo è un deliberato atto di taglia e cuci fatto su commissione. Degli stessi autori, i Grateful Dead e del loro pezzo più celebre Dark Star, qui passati all’esame autoptico, poi squartati e infine riassemblati da John Oswold, novello dr. Frankenstein.
Dark Star nacque originariamente come singolo e come tale aveva una durata abbondantemente sotto i tre minuti. Crebbe a dismisura nei concerti, come testimoniato dagli indimenticabili, ma neppure i più lunghi, 23 minuti del Live Dead.
Nel ’93 Jerry Garcia e soci consegnarono ad Oswold cento versioni da un campionario venticinquennale di concerti che furono distillate e condensate in quasi due ore di psichedelia ultraconcentrata.

Spazio subaracnoideo

All’interno dello spazio subaracnoideo, situato tra l’aracnoide e la pia madre, scorre il liquor o liquido cefalo-rachidiano. Un liquido limpido che è anche detto acqua di roccia e regola la perfusione sanguigna in modo che avvenga a pressione costante.

E’ in queste zone del cervello che si situa la musica di Mason Jones, da San Francisco, e del suo progetto Subarachnoid Space. Le lunghe jam pischedeliche che fecero la fortuna dei gruppi della Bay Area vengono aggiornate ai tempi del noise. Almost Invisible del 1997 è la loro prova più riuscita.

Il rumore del fiore di carta

Per un periodo giravano spesso in rete vignette spassose che ironizzavano sull’esistenza o meno del Molise. E se in tanti non sanno davvero dove si trovi il Molise, figuriamoci come deve essere suonare post-rock in quel di Campobasso, patria de Il Rumore Del Fiore Di Carta, band dal nome bellissimo che ha all’attivo tre album autoprodotti tra il 2004 e il 2011 che vale la pena riscoprire.

Cartoni suonati

“Un guaio dei cartoni oggi è che hanno così tanto dialogo che la musica non significa molto”

Carl Stalling accompagnava al piano i film muti quando fu notato durante uno spettacolo a Kansas City da Walt Disney. A quell’incontro seguì la proposta di sonorizzare i suoi cartoons. La prima perla del compositore fu nel 1929 ‘The skeleton dance’ splendido cortometraggio della serie delle Silly SymphoniesNel 1936 passò ai rivali della Warner Bros. per i quali musicò per oltre un ventennio i Looney Tunes.
Difficile se non impossibile immaginare tutti quei cartoons senza la folle centrifuga musicale di Stalling e la sua orchestra capace di saltare repentinamente da un genere all’altro inserendo ogni tipo possibile di rumore.