Sporchi di terra

Gli Earth di Dylan Carlson nascono a Olympia, piccola cittadina a 60 miglia da Seattle, capitale dello stato di Washington. Esordiscono per la SubPop  con l’EP Extra-Capsular Extraction nel ’91 e realizzano il loro capolavoro con l’album Earth 2 nel ’93 disco di pesantissimi droni reiterati all’infinito. Negli anni la musica di Carlson cambia registro e si colora di psichedelia, mi pare appropriata l’etichetta di southern-gothic appiccicatagli da alcuni recensori. Ottimo esempio di questa fase l’album del 2005 Hex: or Printing in the Infernal Method.

Bandiera rosa

1977. I Pink Floyd non ci sono più da un pezzo. Voi direte che nel ’77 hanno pubblicato per l’etichetta Harvest Animals e due anni dopo anche The Wall, ma quelle sono solo le nevrosi in musica di Roger Waters. Sono anche grandi dischi ma dischi di musicisti in gabbia, i ruggiti innocui di bestie allo zoo.
Fuori invece accade altro, esplodono i disordini non solo musicali del punk.
Ogni casa discografica cerca di accaparrarsi qualche nuova band. La Harvest ci prova con questo quartetto uscito dalla scuola d’arte di Watford. I critici, poveri scemi, li ribattezzano Punk Floyd per sottolineare l’assenza nei Wire della purezza punk. Non si sono accorti che i Wire non sono punk. Ed è più facile trovare tracce barrettiane qui che altrove (sentitevi l’inizio di French film blurred). I Wire sono andati già oltre: Pink Flag, Chairs Missing e 154 sono tre dischi uno più bello dell’altro (senza contare A-Z l’esordio solista del cantante Colin Newman).

Come San Tommaso mettetici il naso (e le orecchie)

Cosa si può scrivere di un disco che è ritenuto tra i migliori album jazz di sempre? Poco o niente, la cosa migliore è riascoltarselo e basta. Non ve ne frega niente che la traccia iniziale St. Thomas è stata a lungo la mia sveglia mattutina? E chi se ne importa, in fondo avete pienamente ragione. Dimentivavo: il disco è Saxophone Colossus e lui è Sonny Rollins in compagnia di Max Roach alla batteria, Tommy Flanagan al piano e Doug Watkins al contrabbasso. L’anno è il 1956.

Il terzo sesso

Contacto Espacial con el Tercer Sexo è una girandola di suoni e campionamenti che sono molto più di una stramberia degli anni ’90. Il duo di Camarillo, California, battezzatosi Sukia (dal nome probabilmente di un fumetto erotico di casa nostra) e affiancati dai Dust Brothers, geniali produttori – c’erano loro dietro la consolle di Odelay, uno dei maggiori successi di Beck – sfornano un album che è un divertentissimo miscuglio di exotica, lounge e trip-hop: una maquina del sueno, come cantano in The Dream Machine.

Patchwork psichedelico

Questo è un deliberato atto di taglia e cuci fatto su commissione. Degli stessi autori, i Grateful Dead e del loro pezzo più celebre Dark Star, qui passati all’esame autoptico, poi squartati e infine riassemblati da John Oswold, novello dr. Frankenstein.
Dark Star nacque originariamente come singolo e come tale aveva una durata abbondantemente sotto i tre minuti. Crebbe a dismisura nei concerti, come testimoniato dagli indimenticabili, ma neppure i più lunghi, 23 minuti del Live Dead.
Nel ’93 Jerry Garcia e soci consegnarono ad Oswold cento versioni da un campionario venticinquennale di concerti che furono distillate e condensate in quasi due ore di psichedelia ultraconcentrata.

Spazio subaracnoideo

All’interno dello spazio subaracnoideo, situato tra l’aracnoide e la pia madre, scorre il liquor o liquido cefalo-rachidiano. Un liquido limpido che è anche detto acqua di roccia e regola la perfusione sanguigna in modo che avvenga a pressione costante.

E’ in queste zone del cervello che si situa la musica di Mason Jones, da San Francisco, e del suo progetto Subarachnoid Space. Le lunghe jam pischedeliche che fecero la fortuna dei gruppi della Bay Area vengono aggiornate ai tempi del noise. Almost Invisible del 1997 è la loro prova più riuscita.

Il rumore del fiore di carta

Per un periodo giravano spesso in rete vignette spassose che ironizzavano sull’esistenza o meno del Molise. E se in tanti non sanno davvero dove si trovi il Molise, figuriamoci come deve essere suonare post-rock in quel di Campobasso, patria de Il Rumore Del Fiore Di Carta, band dal nome bellissimo che ha all’attivo tre album autoprodotti tra il 2004 e il 2011 che vale la pena riscoprire.

Cartoni suonati

“Un guaio dei cartoni oggi è che hanno così tanto dialogo che la musica non significa molto”

Carl Stalling accompagnava al piano i film muti quando fu notato durante uno spettacolo a Kansas City da Walt Disney. A quell’incontro seguì la proposta di sonorizzare i suoi cartoons. La prima perla del compositore fu nel 1929 ‘The skeleton dance’ splendido cortometraggio della serie delle Silly SymphoniesNel 1936 passò ai rivali della Warner Bros. per i quali musicò per oltre un ventennio i Looney Tunes.
Difficile se non impossibile immaginare tutti quei cartoons senza la folle centrifuga musicale di Stalling e la sua orchestra capace di saltare repentinamente da un genere all’altro inserendo ogni tipo possibile di rumore.

Io sto con gli ippopotami

Tre ippopotami spalancano le fauci verso il sole. Uno straniante minuto e mezzo di algida elettronica fa da preludio a un suono caldo, ottimo per difendersi dal gelo di Bruxelles e dintorni. Sospeso tra jazz-rock, progressive e psichedelia, Viva Boma, è il secondo LP dei belgi Cos e vede la presenza del talento locale Mark Hollander (già con Aksak Maboul, Art Bears, Honeymoon Killers e creatore della benemerita etichetta discografica Crammed Discs). A impreziosire il tutto la voce sognante di Pascale Son.

 

 

Tacchi a molla

“Jack dai tacchi a molla” è un personaggio bizzarro e diabolico della Londra vittoriana. Capace di saltare un muretto senza prendere la rincorsa. Spring Heel Jack è un progetto musicale capace di saltare i rigidi steccati dei generi.
Nati come duo di drum n’ bass hanno via via incorporato elementi jazzistici reclutando il meglio dell’avanguardia degli anni ’70 come l’olandese Han Bennink o collaboratori dei Soft Machine come Evan Parker e Paul Rutherford senza dimenticare l’apporto di J Spaceman, al secolo Jason Pierce, chitarrista di Spacemen 3 e Spiritualized. Merito degli Spring Heel Jack la sapienza nel riuscire ad amalgamare il tutto con un’elettronica calda capace di non rendere mai ostico l’impasto sonoro che, ancorché complesso, risulta sempre piacevole e interessante.