Il sindacato dei sogni
La punta di diamante del Paisley Underground, revival losangelino di psichedelia imbastardita dal punk, furono senza dubbio i Dream Syndicate di Steve Wynn. Nel sindacato dei sogni confluì l’impeto sottoproletario dei punk e l’effervescenza musicale degli hippy californiani. The Days of Wine and Roses, The Medicine Show e il live At Raji’s i dischi da ascoltare assolutamente.
Strutture d’aria
Gli psiconauti
Prendere un biglietto per il cervello e navigare nelle psiche l’obiettivo dichiarato di Psychonaut dei Brainticket. Capitanati dall’organista e flautista belga Joel Vandroogenbroeck i Brainticket comprendevano musicisti svizzeri, tedeschi, italiani. Progressive e krautrock le coordinate all’interno delle quali si muovevano. Psychonaut, fu pubblicato nel 1971 dalla piccola etichetta italiana Durium, curiosamente già attiva durante gli anni del regime fascista come Durium La voce dell’Impero, e rappresenta la loro prova migliore dopo Cottonwoodhill (1971) e prima di Celestial Ocean (1974).
La febbre dell’oro
Le compilation e i greatest hits mi provocano sempre malesseri speciali, rarissime le eccezioni: Nuggets: Original Artyfacts from the First Psychedelic Era, 1965–1968 è una di queste. Fu compilata nel 1972 da Lenny Kaye che già allora accompagnava alla chitarra i reading di una semisconosciuta Patti Smith. In Nuggets trovarono posto quelle gemme grezze del garage-rock destinate a essere padri e madri putative del punk americano.
La scuola di Athens
L’Università della Georgia ha sede ad Athens, piccola cittadina a un centinaio di chilometri da Atlanta. Il vivace ambiente del college ha visto sul finire degli anni ottanta nascere band importanti come i R.E.M. e i B-52’s ma anche i meno famosi Pylon. I Pylon esordiscono con il singolo Cool/Dub nella primavera del 1980. Nello stesso anno pubblicano il primo LP Gyrate seguito, tre anni dopo, dal secondo e ultimo Chomp. La band si scioglie pochi mesi dopo.
Nel 1985 saranno omaggiati dagli stessi R.E.M. che pubblicano la loro Crazy come B-side del singolo Driver 8.
Fior di jazz dai fiordi
Strepitoso disco di jazz, registrato dal chitarrista norvegese Terje Rypdal in compagnia di Bjørnar Andresen al basso ed Espen Rud alla batteria, Min Bul viene registrato nell’autunno del 1970 ad Oslo e stampato in sole trecento copie. Per fortuna una di queste copie perviene alle orecchie dei Nurse With Wound che inseriranno il disco di Rypdal e soci nella famigerata lista che campeggia sulla copertina di uno dei loro primi dischi e divenuta nel tempo miniera di sconosciuti capolavori come questo disco.
Quattro grandi punti (esclamativi)
“Our airplane, flies high, and higher / Our airspace, looks right, it’s perfect, from up here / We touch down, we come down, completely, full of fear / They meet us, good people, they’re right here / Their island, their palace, makes us high, and higher / Catania, so full, soulful, gigantic”
Quattro album e due EP condensano la carriera dei June of ’44 da Louisville, Kentucky. Jeff Mueller proveniva dai Rodan, Doug Scharin dai Codeine e già questo basterebbe come (ottima) referenza. Il resto della band era formata da Sean Meadows e Fred Erskine. Alla matrice math-rock degli Slint aggiunsero maggior cromatismo sonoro e gusto per la melodia. Four great points uscito nel 1998 per la Quarterstick resta probabilmente la loro prova migliore ma ci sarebbe veramente l’imbarazzo della scelta. Dopo un silenzio ultradecennale saranno tra pochi giorni in Italia, paese da loro amato (come testimoniato dalla loro Southeast of Boston su Anahata).
Urbi et Orbi
I primi quattro album dei Talking Heads sono uno più bello dell’altro e non ci si può permettere di non ascoltarli. Ma vale la pena ascoltare, e vedere, anche il concerto che tennero a Roma nel dicembre del 1980 in formazione extralarge: infatti a coadiuvare i quattro membri fondatori, David Byrne, Tina Weymouth, Jerry Harrison e Chris Frantz c’erano lo strepitoso Adrian Belew, Busta Jones, Bernie Worrell, Dolette McDonald e Steven Scales: i suoni metropolitani della Grande Mela si mescolano a ritmiche di matrice africana.
Un flusso sonoro che è un fiume in piena e tracima funky da ogni dove, fortunatamente immortalato dalle telecamere della RAI.
Senza una terapia