Due volti di Ginevra

“That is a very unusual song, it’s in a very strange tuning with strange time signatures. It’s about three women that I loved. One of who was Christine Hinton, the girl who got killed who was my girlfriend, and one of who was Joni Mitchell and the other one is somebody that I can’t tell. It might be my best song.” (David Crosby)
Inutile dilungarsi sulle virtù di Crosby Stills & Nash, l’album della famosa copertina con i tre sul divano in ordine inverso alla sigla sociale: storia vuole che quando i tre tentarono di rimediare all’errore, tornando in cerca del divano, scoprirono che non c’era più!
Tra molti episodi memorabili come Marrakech Express o Wooden Ships, la mia preferita resta Guinnevere, frutta del sacco di David Crosby. Di questa canzone si innamorò anche Miles Davis che ne registrò una lunga trasfigurata versione durante le sessions di Bitches Brew. Il brano però rimase inedito fino alla pubblicazione, un paio di decenni dopo, delle intere sessions.

Il jazz dell’apartheid

L’apartheid, il sistema di segregazione razziale che per decenni ha disonorato il Sudafrica non risparmiò neppure la musica. I Blue Notes, formazione jazz che includeva musicisti bianchi e neri, erano costretti a esibirsi in clandestinità. Fu così che molti musicisti come Mongezi Feza e Dudu Pukwana andarono a cercare fortuna in Inghilterra. Tantissime collaborazioni con musicisti jazz e progressive e un paio di dischi a nome Assagai (il primo uscito per la Vertigo nel 1971). A Mongezi Feza, trombettista eclettico e sbarazzino, toccò una fine troppo precoce, nel 1975, a soli trent’anni, per una polmonite mal curata. Aveva da poco collaborato a quei due capolavori che sono Rock Bottom di Robert Wyatt e In Praise of Learning degli Henry Cow. Mongs lasciò in eredità alla musica britannica quella sfrenata energia e gioia di vivere tipica della township music dei ghetti delle metropoli sudafricane.

Vietato prendersi sul serio

Ogni tanto devo riascoltare il primo disco dei Wolfango, un disco che non pretende niente nel suo ostentato e voluto analfabetismo musicale: autentico grado zero, vero sberleffo punk ad ogni pretesa di catalogaziane e/o classificazione e/o giudizio. Il disco uscito nel 1996 per l’etichetta dei C.S.I. è una sequenza di canzoni in cui gli unici strumenti sono un basso distortissimo e mezza batteria suonata nell’occasione da Bruno Dorella (protagonista anche con gli ottimi Ronin, OvO, Bachi da Pietra). Le voci del bassista Marco e della moglie Sofia più il figlioletto rompiscatole che all’epoca imperversava sul palco a rendere ancora più divertente ed esasperante il tutto. Scorie assortite di Nirvana e CCCP su testi demenziali non è dato sapere se di proposito oppure no.

Totentanz

Aggettivi come gotico e teutonico bastano e avanzano per descrivere la musica degli Amon Düül II. Una musica che evoca quel tribalismo nordico pagano e allo stesso tempo allucinato e austero. Come il monito delle tante totentanz, le danze con la morte, che pullulano nelle chiese tedesche.
Il loro primo disco Phallus Dei impone il suo clima orrorifico e luciferino sin dalla splendida copertina: non resta altro lasciarsi sopraffare dalle sue note e partecipare al sabba.

Suoni dietro le sbarre

Per tutta la vita Alan Lomax ha raccolto canti popolari, dalle prigioni americane ai cavatori di marmo di Carrara. Fu lui, insieme al padre, l’etnomusicologo John Lomax, a scoprire in una prigione della Louisiana il grande Leadbelly. E fu sempre dai nastri registrati da Lomax nella Spagna franchista che Miles Davis e Gil Evans attinsero le idee che avrebbero portato alla realizzazione di Sketches of Spain, uno dei vertici della produzione davisiana.

Negro Prison Blues and Songs è l’antologia che raccoglie i brani registrati da Lomax nei penitenziari del Mississippi e della Louisiana.

Dall’Illinois all’Île de France

Invitati nel 1969 a un festival a Parigi la Roscoe Mitchell Art Ensemble volò dall’Illinois in Europa. Il gruppo di jazzisti vide nella Francia post-sessantottina  un ottimo brodo di coltura dove fare attecchire le proprie miscele sonore che incorporavano tanto elementi della tradizione africana quanto dell’avanguardia più colta. Così, ribattezzatosi Art Ensemble of Chicago, rimasero un paio d’anni in Francia e a Parigi registrarono una serie di grandi dischi a cominciare dalla colonna sonora di Les Stances a Sophie, pellicola che trattava di liberazione sessuale e in cui i musicisti comparivano in alcune scene sul palco con i volti dipinti come tradizionali guerrieri africani.

Colonna sonora fantastica arricchita dalla splendida voce di Fontella Bass, moglie del trombettista Lester Bowie. A completare la superba formazione dell’Art Ensemble of Chicago c’erano Roscoe Mitchell (sax e clarino), Joseph Jarman (sax), Malachi Favors (contrabbasso) e Don Moye (batteria e percussioni).

Un determinato rapporto

A Certain Ratio: piedi ben saldi alla Hacienda di Manchester e in testa il funky newyorkese dei Talking Heads. Il timbro del cantante Jez Kerr era troppo vicino al fresco fantasma di Ian Curtis e il produttore Martin Hannett ne approfittò per tamponare il vuoto lasciato dai Joy Division nel catalogo della Factory: ne nacque l’album “To each…” quasi mai eseguito dal vivo eppure riconosciuto dalla critica come loro miglior prova su disco. Questo perché il gruppo prediligeva una musica più fisica e viscerale come risulterà più evidente nei dischi successivi.

L’inevitabile post del due maggio

Secondo e ultimo disco dei May Blitz, classico power trio hard psichedelico formato dai canadesi Jamie Black (chitarra e voce) e  Reid Hudson (basso) e completato dall’inglese Tony Newman (batteria) Second of May fu licenziato dall’etichetta Vertigo nel 1971. L’album pregevole, nonostante la trascinante For Mad Men Only, non ebbe miglior fortuna del primo, eponimo, pubblicato l’anno prima. Lo scarso impatto commerciale convinse presto i due canadesi a tornarsene in patria mettendo la parola fine all’avventura musicale dei May Blitz.

Nell’acquario

L’idea dell’etichetta olandese Konkurrent è stata molto semplice ma geniale: chiudere per due giorni in uno studio di registrazione una band o, ancora meglio, due a suonare e vedere cosa ne esce fuori. Così tra il 1996 e il 2009 sono stati realizzati quindici miniLP, intitolati In the Fishtank, in cui gruppi noti e meno noti del panorama mondiale si sono divertiti a mischiare le carte in tavola: dai Sonic Youth a Christian Fennesz, dai Tortoise ai Motorpsycho, dai June of ’44 ai Dirty Three et cetera et cetera.

Qui uno dei miei preferiti, un duetto tutto norvegese tra Motorpsycho e Jaga Jazzist Horns con una pregevole cover degli Art Ensemble of Chicago (Theme of Yoyo dalla colonna sonora del film Les stances á Sophie) e la lunga conclusiva Tristano.

Quelli che ritornano

Avevo perso di vista per un po’ di tempo i Mogwai dopo l’abbuffata di post-rock di fine anni novanta. Poi è arrivata la serie televisiva francese ‘Les Revenants’ e, con questa, la colonna sonora della band scozzese. La musica, composta per l’occasione e con un piccolo tributo ai Portishead, accompagna magistralmente le scene della serie girata in Alta Savoia. Sotto cieli perennementi plumbei si intrecciano i destini irrisolti di ‘quelli che ritornano’ e di quelli che sono rimasti.