Senza radici

“Palestine’s a country / Or at least / Used to be. / Felahin, refugee / (Kurdistan similarly) / Need something to / Build on / Rather like / The rest of us.” 

Quando si è a corto di soldi ci si arrangia come si può. E peccato se il lavoro sarebbe potuto uscire meglio. Così Dondestan, il gran ritorno di Robert Wyatt dopo anni di silenzio fu dato alle stampe nel 1991 con un missaggio frettoloso e approssimativo (così riteneva lui, perché era già un gran bel disco). Ma evidentemente a Robert il cruccio era rimasto così nel 1998 riesce a riportarlo in studio di registrazione e a rimettere mano ai nastri originali: il risultato è Dondestan (revisited). Disco, a un orecchio attento, dal suono un po’ più cupo e compatto. Per il resto se si eccettua la diversa scaletta dei brani difficile riconoscere l’uno e l’altro e ancor più decidere quale delle due versioni preferire. Insomma l’unica strada percorribile è godersi due volte questo album doppio che vale molto di più di tanti doppi album. Triste notare come il brano che dà il titolo all’album e che trattava dell’impossibilità di avere una patria per curdi e palestinesi sia ancora tristemente attuale.

“Il lato nuovo di questo lavoro é che i testi delle canzoni erano delle poesie di Alfie; mi piacciono molto le sue poesie perché c’é molto di non detto. Chiamai il disco Dondestan perché aveva un doppio significato: in spagnolo significa “dove stai” e, sempre in spagnolo, ricorda qualcosa della repubblica euroasiatica. Qualcosa come dichiarare se stessi indipendenti da qualcuno o qualcosa. Io spesso mi sento in esilio da non so quale paese e anche tante persone che conosco sembrano essere degli esiliati. E’ un disco sulla mancanza di radici, questo lo si sente sia nelle canzoni che nei testi di mia moglie”.

 

Labirinto Laborintus

Per il settecentesimo anniversario della nascita di Dante la radiotelevisione francese O.R.T.F.  commissiona a Luciano Berio una composizione che si rivelerà un vero labirinto di suoni e parole. Il grande musicista italiano infatti affida il libretto al poeta Edoardo Sanguineti che attingerà alla sua opera Laborintus edita nel 1956. Laborintus II è quindi un viaggio attraverso le rime del sommo poeta e molteplici intersezioni e rimandi a T.S. Eliot, Ezra Pound e allo stesso Sanguineti.

Si ricorderà di quest’opera il geniale Mike Patton che reinciderà nel 2012 Laborintus II con i musicisti belgi dello Ictus Ensemble.

La gnòsi delle fànfole

Nel 1997 Massimo Altomare e Stefano Bollani cominciano a mettere in musica le poesie metasemantiche di Fosco Maraini. La Gnòsi delle fànfole esce per  Sonica poco prima che l’etichetta fiorentina di Gianni Maroccolo fallisca.

Bollani e Altomare cercano anche musicalmente di ricreare le Fànfole di Maraini, pubblicate la prima volta nel 1966, caratterizzate dalla ricerca di un vocabolario nuovo in cui le parole pur prive di significato richiamano parole e suoni familiari.

“Il sentimento principale che le Fànfole ci regalavano era la malinconia, proprio come se quel mondo – il vecchio Troncia, le zie in bardocheta – ci fosse un tempo appartenuto e ci trovassimo a rimpiangerlo, fra vecchi amici che sanno di cosa stan parlando senza bisogno di spiegarselo” (Altomare e Bollani, dalle note alla ristampa del disco, con una tracklist leggermente modificata, unitamente al libro della Gnòsi delle Fanfole edito da Baldini e Castoldi).

Verità astratta

Nel 1962 Oliver Nelson, sassofonista laureatosi in composizione alla Lincoln University nel ’58 e con esperienze in big band arruola una formazione di all stars e con questa incide per la Impulse l’album The Blues and the Abstract Truth. Pezzo forte dell’album è il brano d’apertura, Stolen Moments, che diventerà un vero e proprio standard. I protagonisti di questa registrazione stellare? Freddie Hubbard alla tromba, Eric Dolphy al sassofono, Bill Evans al piano, Paul Chambers al contrabbasso e Roy Haynes alla batteria.

Nel gorgo del trio

Conclusa la fulminante avventura dei Colossamite, band di stanza a Minneapolis, Minnesota con all’attivo tre uscite nel biennio 1997-98 su etichetta Skin Graft , tre quarti della band formano i Gorge Trio. L’esordio su disco avviene in quello stesso 1998 per l’italiana Freeland Records e si intitola Dead Chicken Fear No Knife, cinquanta minuti di ottimo math-rock strumentale.

Gemme di jam

Gli australiani Necks, Chris Abrahams al pianoforte, Tony Buck alla batteria e Lloyd Swanton al basso, suonano e incidono insieme da quasi trent’anni: l’album d’esordio, Sex, è infatti del 1989. I loro dischi sono quasi sempre formati da un’unica traccia estesa, un lungo flusso sonoro che si snoda attorno una primigenia linea melodica. I critici tirano in ballo il minimalismo e il jazz, di fatto, i tre, sono capaci di creare territori sonori in cui l’ascoltatore è rapito come cadendo in una dimensione onirica. Silverwater, del 2009, è uno dei miei album preferiti del trio.

Suonare a morto

La Banda Ionica è un progetto nato nel 1997 per opera di Fabio Barovero dei Mau Mau e del trombettista Roy Paci. Lo scopo è quello di recuperare le musiche usate per le processioni della Settimana Santa e le marce funebri del Sud d’Italia. Con una banda di venti elementi registrano l’album Passione cui seguirà, nel 2002, Matri mia. Nella seconda prova i due cercheranno di mantenere il mood del disco d’esordio all’interno però di composizioni originali e con ospiti di eccezione come Vinicio Capossela, Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus, Macaco El Mono Loco.

L’apprendista

Si intitola L’apprendista l’album del 1977 degli Stormy Six, band italiana che proprio quell’anno approda all’interno del Rock In Opposition capitanato dagli Henry Cow e che porterà al gruppo una certa notorietà in Inghilterra e nelle due Germanie: l’Amiga, l’etichetta discografica di stato della DDR pubblicherà infatti nel 1980 un’antologia del gruppo milanese.

Gruppo attivo sin dalla metà degli anni sessanta e fortemente politicizzato, gli Stormy Six raggiungono con L’apprendista, loro sesto album in studio, una scrittura più matura sia per quanto riguarda il suono che i testi.

Mamma non piangere, il mondo è bello

Gruppo milanese colto e ironico, coagulatosi nel ’78 attorno all’unico componente stabile, Lorenzo Leddi, fratello del più famoso Tommaso degli Stormy Six, i Mamma Non Piangere durano il tempo di incidere due dischi, il N.1 (Musica, bestiame e benessere) e il N.2 (Sempre avanti a testa bassa), in cui mescolano mille influenze che possono a buon diritto rientrare nell’etica del Rock In Opposition degli inglesi Henry Cow.

 

Danza industriale

I 23 Skidoo esordiscono sulla lunga distanza con Seven songs nel 1982 dopo aver pubblicato qualche singolo e partecipato a una delle Peel sessions alla BBC. La loro è musica industriale concepita per ballare. Servono a questo le corpose iniezioni di funk e ritmi esotici e quartomondisti alla Jon Hassell e Brian Eno. Negli anni ’90 i Chemical Brothers campioneranno Coup per la loro Block rockin’ beats, un omaggio dovuto a un gruppo tra gli iniziatori di un genere.