Working Class Heroes

Gli inglesi Third World War durarono poco meno di un triennio ma si distinsero come una delle band più estremiste dell’epoca. Autoproclamatosi working class band portarono avanti con un sound aspro e sanguigno le istanze della classe operaia tanto da essere annoverati spesso come prima punk band inglese, etichetta in fondo fuorviante visto che la loro proposta sonora affondava in melme blues e hard-rock. Affini a Pink Fairies, Deviants, Edgar Broughton Band registrarono due soli album, l’eponimo Third World War, uscito nel ’71 e Third World War 2 l’anno seguente.

Il sacrificio della vedova nera

Gruppo di Leicester affascinati dall’esoterismo, i Black Widow esordiscono con l’LP Sacrifice per la CBS nel 1970 dopo essersi fatti una pessima fama per i loro spettacoli teatrali che si concludevano con, ovviamente finti, sacrifici umani. Al di là dei testi impregnati di occultismo e satanismo l’album è un bellissimo esempio di scurissimo progressive dal sax iniziale di In Ancient Days alle tastiere e al flauto della conclusiva title-track.

Non aver paura del buio alla fine della tempesta

Dopo lo straordinario successo di vendite di The Dark Side of the Moon la Harvest decise di riunire in un doppio LP intitolato A Nice Pair i primi due album, The Piper at the Gates of Dawn e A Saucerful of Secrets, quelli barrettiani per intenderci e, di conseguenza, gli unici registrati dai Pink Floyd a detta di un barrettiano come colui che verga queste righe. L’artwork della Hipgnosys includeva una serie di foto tra cui quella di una squadra di calcio dalle divise bianche e blu tra cui militavano i membri del gruppo che, appassionati di football avevano messo su il Pink Floyd Football Club.  La foto in questione li ritraeva prima di una sonora sconfitta per 4 a 0 con una squadra di marxisti londinesi.

La passione per il calcio di Waters e soci si era già palesata in precedenza sull’album Meddle : in coda alla bellissima Fearless si può ascoltare You’ll Never Walk Alone la canzone simbolo del Kop, la tifoseria del Liverpool durante il sentito derby cittadino con i rivali dell’Everton e di sicuro la canzone simbolo degli stadi d’oltremanica. La canzone originariamente fu scritta dalla coppia Hammerstein e Rodgers per il musical Carousel nel 1945 e portata al successo in Inghilterra da un gruppo di Liverpool, non dai Fab Four, ma dai meno noti Gerry & the Pacemakers nel 1963.

Cartoline dal vecchio West

I Quicksilver Messenger Service di John Cipollina vengono sempre annoverati come terzo gruppo della scena acid-rock di San Francisco. Certo a ragione: non possedevano la sensualità di una Grace Slick e la capacità di sfornare grandi canzoni dei Jefferson Airplane né tanto meno musicisti della caratura dei Grateful Dead (capaci di passare dalla più lisergica psichedelia all’avanguardia della musica concreta). Più fisici nelle loro jam infuocate i Quicksilver Messenger Service non sono stati capaci di grandi prove in studio ma hanno lasciato un meraviglioso live, Happy Trails uscito nel 1969, tratto da due serate ai mitici Fillmore e sublimato nella lunga cavalcata di Calvary.

Zombie di tutto il mondo unitevi (Canzoni da Ultima Spiaggia #5)

“comprendere vuol dire abbracciare ma se l’abbraccio è morsa vuol dire strangolare”

Gianfranco Manfredi è stato cantautore, attore, sceneggiatore, critico musicale, fumettista. Il suo esordio discografico risale al 1972 con La Crisi e proseguirà con tre album editi dalla Ultima Spiaggia: Ma non è una malattia (1976), Zombie di tutti il mondo unitevi (1977), Biberon (1978). In seguito la sua sua produzione si farà più sporadica.  Cantautore fine e impegnato, la sua ironia è una costante critica alla sinistra di quegli anni.

Zombie di tutti il mondo unitevi vede alla stesura del disco l’apporto di Ricky Gianco e all’esecuzione Mauro Pagani, Lucio “Violino” Fabbri, Roberto Colombo. Da segnalare ai cori la presenza di Ivan Cattaneo e di Gianna Nannini.

Depressione? (Mamma li turchi #3)

I Bunalim furono autori di una manciata di singoli ad inizio anni settanta sospesi tra tradizione turca, psichedelia e hard-rock. Il loro nome, traducibile letteralmente con depressione, risulta fuorviante rispetto a una musica energica e trascinante. Nel ’74 si unirono al chitarrista Erkin Koray e col nome di Grup Ter realizzarono una cover del classico turco Hor Görme Garibi che gli aprì in patria le porte del successo. Bisognerà aspettare gli anni zero per vedere i pezzi dei Bunalim assemblati in una antologia.

La farfalla del giardino dell’Eden

Gli Iron Butterfly dell’organista e cantante Doug Ingle saranno ricordati quasi esclusivamente per quell’incredibile lato B del loro secondo LP pubblicato nel 1968 per la ATCO Records. La facciata del vinile era occupata interamente dal  lunghissimo brano che dava il titolo all’album. In-A-Gadda-Da-Vida coi suoi diciassette minuti in cui si rilegge l’acid-rock californiano e si dettano le future coordinate dell’hard-rock e dell’heavy-metal tra febbrili note d’organo ed epidermici riff di chitarra dell’allora diciottenne chitarrista Erik Brann.

Gotico italiano

Le sonorità gothic trovarono in Italia, e in particolare a Firenze, terreno fertilissimo con la neonata I.R.A. Records che produsse i primi dischi di Litfiba, i Moda di Andrea Chimenti, gli Underground Life di Giancarlo Onorato e i Diaframma di Federico Fiumani che con l’arrivo del cantante Miro Sassolini realizzarono l’ellepì Siberia, uno dei migliori album della dark wave di casa nostra.

Tutto ventagli e silenzi

Il 17 settembre 1962 nei Sound Makers Studios di New York City si ritrova, citando Paolo Conte,  il grande boxeur tutto ventagli e silenzi ovvero il leggendario pianista Duke Ellington, ormai sessantatreenne con due più giovani e affermati colleghi, il contrabbassista Charles Mingus e il batterista Max Roach. I due si mettono al servizio del Duca, non senza qualche attrito come vuole la vulgata della genesi del disco, e sfornano, tra classici di Ellington (Caravan, Solitude) e pezzi registrati per l’occasione come la splendida Fleurette Africain, l’LP Money Jungle.

La silenziosa via

Registrato nel febbraio del 1969 In a Silent Way è In pratica il prologo di Bitches Brew, il capolavoro “elettrico” di Miles Davis. Qui c’è già quasi tutta la formazione che collaborerà col geniale trombettista e soprattutto compare quel modus operandi fatto di improvvisazione in studio e riassemblaggio dei nastri in post-produzione con l’apporto del fondamentale Teo Macero.  Miles Davis, che in quel periodo guardava al rock e sperava in una collaborazione con Jimi Hendrix, arruola John McLaughlin alla chitarra elettrica, Dave Holland al basso, Tony Williams alla batteria, Wayne Shorter al sax soprano e ben tre tastieristi, Chick Corea, Herbie Hancock e l’austriaco Joe Zawinul.