“this whole country is full of lies / You’re all gonna die and die like flies”
Mississippi Goddam fu presentata per la prima volta al pubblico nel marzo del 1964 alla Carnegie Hall di New York. L’anno prima Nina Simone era stata la prima artista di colore ad esibirvisi. Non come pianista classica, sogno che aveva coltivato da ragazzina, ma come cantante oramai affermata e che aveva incamerato nel suo repertorio le istanze delle lotte per i diritti civili aggiornando tanto il teatro mitteleuropeo di Bertolt Brecht e Kurt Weill quanto la canzone popolare israeliana.
Di fronte ai fatti tragici del ’63, con la fucilata nella schiena all’attivista Medgar Evers e la bomba nella chiesa battista dove perirono quattro ragazzine, Nina Simone scrive l’invettiva di Mississippi Goddam.
A differenza delle dolenti Alabama di John Coltrane e Only A Pawn in Their Game di Bob Dylan, entrambe dedicate agli eventi di quell’anno, le parole di Nina Simone sono accompagnate da una musica allegra e dinamica che rende il testo ancora più suggestivo e diretto.
Cito le parole dell’attivista Dick Gregory dalla bella biografia di Alan Light, What’s happened, Miss Simone? uscito in Italia per Il Saggiatore:
“La franchezza appartiene alla donna. Nonostante tutta la sofferenza vissuta dai neri, nessun uomo nero si azzarderebbe a cantare Mississippi Goddam. Nessun uomo nero direbbe mai quello che dice Billie Holiday sul linciaggio. Non sono state le donne a linciare, sono stati gli uomini, ma sono state le donne a parlarne, e nessuno ha detto loro di farlo. Nessun manager ha detto loro di parlare a quel modo, è qualcosa che hanno dentro.”
E il prezzo da pagare per tanta franchezza sarà salato e renderà ancora più complicata la vita già tormentata sin dall’infanzia della cantante che vedrà ulteriormente incrinato il suo rapporto con il violento marito e manager.