Nuovo disco in uscita per gli Afghan Whigs e come sempre capita per le band che ho amato negli anni novanta mi assale il timore che questo improvviso ritorno possa deludermi. Nell’attesa godiamoci il passato.
Inseriti a forza nel carrozzone del grunge solo perché avevano cominciato a incidere con la SubPOP il gruppo di Greg Dulli non è mai riuscito ad emergere come avrebbe pure meritato per quel singolarissimo rock morboso e malsano iniettato di soul e di Motown. Testi intrisi di sesso, droga e morte e ritmiche lussureggianti concentrati soprattutto nei due album ‘Congregation’ (1992, splendida copertina, su fondo rosso un neonato bianco tra le braccia di una donna nera, evidente richiamo alle radici musicali del rock) e ‘Gentlemen’ (1993). Fu il video di Debonair tratto da quest’ultimo disco a farmeli conoscere e a convincermi a comprare il CD che sulle prime mi deluse: ben lontana era la loro musica dal grunge imperante di allora. Col tempo ho poi imparato ad amarli visceralmente come viscerale è sempre stato il cantato di Dulli diventato noto alle nostre latitudini anche per le collaborazioni con gli Afterhours di Manuel Agnelli e in tandem con Mark Lanegan nei Gutter Twins.